NEW YORK — 12 morti, 75 persone ferite. Tra quelli che hanno perso la vita, un bambino. Questo è il bollettino di guerra di Chicago, Illinois, nel weekend appena trascorso. Chicago, the hub of civilization, come la chiama orgogliosamente un caro amico che vi è nato e cresciuto. Il fulcro della civilizzazione, il crocevia di tutto il Midwest, una delle prime grandi città industrializzate d’America. La città dei Bulls di Michael Jordan, dei Cubs, campioni di baseball due anni fa, la città dei Blues Brothers, la città dalla bellissima architettura del suo “loop”, il suo cuore, il centro. La città americana che amo di più dopo New York.
Oggi sembra di essere tornati indietro di un secolo, alla Chicago di Al Capone, alla violenza strisciante dei tempi della meatpaking industry (lavorazione delle carni), quando assieme alle vacche si ammazzava la speranza nella vita quotidiana di uomini e donne che proprio in ragione della speranza avevano attraversato l’oceano. Se non avete presente andatevi a leggere Upton Sinclair e la sua The Jungle. Ma la violenza qui è sempre stata di casa. Lo canticchiava anche Jim Croce, “well, the south side of Chicago, it is the baddest part of town…”. Il famigerato South Side dove l’altro giorno sono avvenute la maggior parte delle sparatorie. Eppure ci andavo nel South Side, con un certo spirito d’avventura, ma senza grandi timori. A mangiare fried chicken con Lorenzo Albacete e ad ascoltare il blues al Checkerboard Lounge. Chicago, la patria adottiva del blues arrivato qui dal Mississippi attraverso quell’unico binario che cuciva in due il cuore del paese.
Perché si spara così tanto a Chicago e cosa si può fare per curare questa ferita?
Certamente l’amministrazione della città non sembra in grado di far fronte a questa ondata di violenza che ormai va crescendo da anni. Ma è sufficiente dire come ha fatto Rudolph Giuliani — l’uomo che con la sua “zero tolerance” ha ripulito New York — che è tutta colpa dei democratici?
Troppa povertà, troppa miseria nel corpo e soprattutto nell’anima. Troppa disparità, troppa ingiustizia sociale. E poi corruzione e tutti i possibili limiti umani, con droga e prostituzione che sembrano le uniche vie d’uscita praticabili. Così la tristezza, il “desiderio di un bene assente”, come la chiamava san Tommaso, il blues come lo chiamiamo qua, lascia il passo alla disperazione e la disperazione trascina con sé la violenza.E così trascorrono i weekends di Chicago. Disperati e senza blues.