L’ipotesi di una soluzione della questione palestinese attraverso la federazione del futuro Stato palestinese con la Giordania è diventata ufficiale negli scorsi giorni, anche se con paternità incerta. Il presidente dell’Autorità Palestinese (Ap), Mahmoud Abbas, ne ha parlato all’inizio di settembre con un’organizzazione israeliana, Peace Now, attribuendone la paternità all’amministrazione Trump. Precisando che si parla non di una federazione con la Giordania, ma di una confederazione tra Stati indipendenti, Abbas ha detto di non essere contrario, purché della confederazione faccia parte anche Israele.



Dalla Giordania si è subito precisato che l’ipotesi non è attualmente in discussione e dagli Stati Uniti si è riaffermato che la questione palestinese farà parte del piano di pace per il Medio oriente che l’amministrazione Trump sta preparando. Un piano di cui si continua a parlare, ma che non si sa quando verrà reso pubblico. Anche Israele ha dichiarato di non essere all’origine della proposta e ribadito la posizione espressa da Netanyahu di un’entità statale palestinese autonoma e smilitarizzata, garantita internazionalmente ma riservando a Israele le misure di sicurezza.



Molti palestinesi hanno criticato le dichiarazioni di Abbas, definendo l’ipotesi un artificio di Israele e degli Stati Uniti per cancellare definitivamente l’idea dei due Stati. Le riserve giordane sono motivate dal timore che la presenza palestinese divenga dominante nel Regno hascemita, anche se la prima proposta di confederazione fu lanciata, paradossalmente, nel 1972 da re Hussein, padre dell’attuale sovrano giordano.

Dati interessanti emergono da una ricerca condotta nel 2016 dall’università palestinese An-Najah di Nablus: il 46% degli intervistati si dichiarò allora in favore della confederazione con la Giordania, percentuale che saliva al 52% in Cisgiordania. L’indagine ha messo anche in risalto i sentimenti di frustrazione dei palestinesi, il crescente scetticismo per una soluzione della questione e la richiesta di risolvere in modo pacifico e definitivo il conflitto tra Fatah e Hamas, le organizzazioni che governano rispettivamente la West Bank e la Striscia di Gaza.



Nei due anni passati dall’inchiesta i problemi si sono apparentemente aggravati. Innanzitutto, contro le speranze degli intervistati del 2016, i rapporti tra le due organizzazioni palestinesi sono peggiorati. Nell’ottobre del 2017, con la mediazione dell’Egitto, fu firmato un accordo di riconciliazione in cui si prevedeva che l’Ap riprendesse il controllo di Gaza nel successivo dicembre. In mezzo a reciproche accuse, non se ne è fatto nulla e uno dei maggiori punti di disaccordo rimane il disarmo delle milizie di Hamas richiesto dalla Ap. L’Egitto ha continuato i suoi tentativi di mediazione e lo scorso agosto una delegazione di Hamas si è recata al Cairo per colloqui sulla possibilità di una tregua con Israele e di una riconciliazione con Fatah. La situazione della popolazione nella Striscia è sempre più grave, aggravata dalla decisione di Trump di tagliare i finanziamenti all’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi.

Un accordo con la Ap e Israele sarebbe la premessa per un allentamento del blocco israeliano e l’eliminazione delle sanzioni dell’Ap contro Gaza. La ripresa delle trattative ha però scatenato la dura reazione di Abbas, per il quale nessun accordo potrà essere raggiunto senza la partecipazione diretta della Ap. Immediata la risposta dei vertici di Hamas, che hanno accusato Abbas e Fatah di voler sabotare ogni accordo diretto a una soluzione pacifica e all’eliminazione del blocco, operando così contro gli interessi dei palestinesi. Nel contempo, se non si raggiungerà a breve una tregua, Hamas ha confermato la sua intenzione di riprendere le ostilità, nonostante la sua volontà di raggiungere un accordo.

Israele ha posto a sua volta una pregiudiziale all’accordo, cioè la restituzione di soldati israeliani prigionieri di Hamas; quest’ultima si dice disposta a discutere uno scambio di prigionieri, ma separatamente dalle trattative sulla tregua. In questa situazione, nei giorni scorsi il Cairo ha dichiarate sospese le trattative. Si sta così prospettando la dolorosa prospettiva che i sanguinosi incidenti della scorsa primavera sui confini della Striscia siano stati solo un prologo ad avvenimenti ancor più drammatici.