NEW YORK — Sono abbastanza certo che giudice della Corte Suprema io non potrei mai diventare. Non è questione di titoli di studio o curriculum professionale. Anche, non c’è dubbio, ma la mia candidatura cascherebbe ben prima di arrivare davanti alla commissione del Senato. Quante stupidaggini avrò fatto da ragazzo che non mi ricordo più? E quante da grande, tra intenzionali, fortuite e completamente inconsapevoli? 



Oggi nella stanza 226 del Dirksen Senate Office Building si è lavorato all’allestimento del patibolo per Brett Kavanaugh. Se non per lui in carne ed ossa, per la sua candidatura a giudice della Corte Suprema. Le accuse contro Kavanaugh, le sue brutte azioni di gioventù, ormai le conosciamo tutti: all’età di 17 anni, sotto i fumi dell’alcol, avrebbe aggredito una ragazzina quindicenne cercando di costringerla a fare sesso. Roba brutta, senza dubbio. Molto peggio di quelle imputabili alla maggioranza di noi. Roba brutta, ma vera o no? Dopo che Christine Blasey Ford, la presunta vittima, ha accettato di sottoporsi a macchina della verità e interrogatorio da parte della Commissione del Senato, persino Trump ha fatto capire che potrebbe cambiare idea rispetto alla nomina. Di conseguenza — cadesse la candidatura di Kavanaugh in un modo o in un altro, per rinuncia sua o voto negativo — il seggio della Corte Suprema vacante dalle dimissioni di Anthony Kennedy di fine luglio resterà tale chissà ancora per quanto.



E qui entriamo nella parte veramente brutta della faccenda, più brutta dei presunti fatti. Perché “forse” in tutta questa storia c’è di mezzo qualche anelito di giustizia, ma certamente c’è una tonnellata di politica, quella che ha gli occhi puntati molto di più sulle Midterm Elections che sulla coscienza di Kavanaugh e le pene della Ford. Tra quaranta giorni i Democratici potrebbero ribaltare il Senato e con esso la scelta del nuovo Supreme Judge: non più un uomo di Trump, ma uno dall’altra parte della barricata. Non più un “conservatore”, ma un “liberal”. Capite che la “giustizia” qui passa in secondo piano. Il calendario viene prima. Lo stesso calendario col quale i Democratici hanno gestito il caso Ford, giocandone la carta quando si era ormai giunti al momento del voto di approvazione, sebbene la bomba fosse nelle loro mani da agosto. Giustizia… 



Guardando qualche momento delle udienze, guardando il volto segnato della Ford o quello coperto di lacrime di Kavanaugh vien da pensare che forse gli unici interessati alla “giustizia” sono loro due. Almeno quello dei due che non spergiura. Staranno dicendo la verità o mentendo spudoratamente? O semplicemente si confondono? Oppure, come accade a volte con la memoria, si è convinti di ricordare che le cose sono andate in un certo modo, ma in realtà non è così? Dopotutto parliamo di più di trent’anni fa. Già nel 1991 l’America era passata attraverso un travaglio simile con la nomina di Clarence Thomas e le accuse di Anita Hill. Il paese aveva già imboccato la sua triste e dolorosa parabola verso la polarizzazione ideologica. C’era tuttavia ancora qualche margine di dialogo. Ora non più. Ora si è “guilty by association”, colpevoli perché si appartiene all’altra parte. 

Per Kavanaugh, a meno di un clamoroso colpo di scena, non butta affatto bene. Umiliato durante le “hearings”, qualunque sia l’esito di questo procedimento, che venga nominato o meno, il marchio d’infamia lo accompagnerà in tutto quel che farà. Nel trionfo della polarizzazione si coltiva abbastanza determinismo da convincersi che la vita di un adulto sia decisa da 3 (fossero tutte vere) brutte cose fatte da ragazzino. Così almeno la pensano tutti quelli che in questi mesi non hanno fatto altro che cercare qualcosa per potersi opporre ad una candidatura che volevano rigettare a priori.

Conosco pochissimi, ma veramente pochissimi adulti americani, persone oggi rispettabilissime o addirittura di spicco, che non abbiano avuto in gioventù qualche forma di frequentazione con alcol e droghe. Era parte del “percorso educativo”. E non credo che i pochissimi che non si sono mai intrattenuti con gli stupefacenti abbiano condotto un’esistenza assolutamente e totalmente irreprensibile. Sto dicendo che andava bene così? No, sto dicendo che non conosco uomo (o donna; parità anche su questo) senza peccato. Sto solo dicendo che l’eliminazione del male non rientra tra le cose di cui siamo capaci e che l’uomo perfetto non esiste. E sappiamo anche, come Dostoevskij fa dire ad Aglaja Epancina, che “Chi è molto ligio alla giustizia è ingiusto”.

Lo sappiamo benissimo perché senza Misericordia non c’è Giustizia. God Bless America.