In Libia si potranno fare solo errori fin quando continuerà la guerra non dichiarata tra Francia e Italia. Un problema sempre più evidente anche solo pensando alla difficile sopravvivenza del tanto fragile quanto Onusiano Governo di unità nazionale. Da un lato, è innegabile che il premier Serraj, dal 2016 a oggi, abbia cercato di cooptare sempre più realtà locali per consolidare la sua base di legittimità. Dall’altro lato, però, questo processo è stato progressivamente indebolito dall’emergere di un gruppo compatto di milizie tripoline che, di fatto, detengono il potere (sia politico che economico). Ne fanno parte le Brigate rivoluzionarie di Tripoli di Haitham al-Tajouri, la Brigata Nawasi guidata dall’ex ministro dell’Interno Abd al-Latif Qaddur, l’Unità di Abu Salim al comando di Abdul Ghani al-Kikli, e la Forza speciale di deterrenza (meglio nota come Forza Rada) il cui leader è il salafita Abdelraouf Kara. 



Grazie al controllo delle sedi istituzionali, delle banche e delle infrastrutture strategiche questi gruppi hanno creato un vero e proprio “cartello” para-mafioso, con cui influenzano profondamente il Governo, lo piegano ai propri interessi personali, e si coordinano per evitare che altri attori riescano ad avere influenza a Tripoli. Non deve quindi stupire che, ciclicamente, gli attori esclusi dalla capitale tentino di farvi ritorno con la violenza. È per questo che le potenti milizie di Misurata e Tarhouna (le milizie Kani, note anche come 7ma Brigata) in questi giorni attaccano Tripoli. Esse sono state cacciate dalla città non più tardi di maggio 2017.



Va poi aggiunto che un nuovo, determinante impulso a questo attacco è scaturito dalla rigidità dell’iniziativa diplomatica francese (maggio 2018). Il summit di Parigi ha coinvolto solo alcuni degli attori libici (escludendo proprio Misurata) e ha fissato una data per le elezioni in tempi brevissimi (10 dicembre). Ovviamente, ciò non può che spingere tutti i gruppi esclusi a tentare un colpo di mano per avere voce in capitolo nel futuro assetto del Paese. 

D’altro canto, alla stessa logica rispondono anche quelle forze di Misurata (la coalizione al-Buniyan al-Marsus) e di Zintan (le milizie agli ordini di Emad Trabelsi), che sono entrate nella capitale il 2 settembre su richiesta di Serraj per bloccare l’avanzata dei rivali. Infatti, entrambi questi gruppi erano stati cacciati da Tripoli tra il 2014 e il 2017, non sono stati coinvolti al summit di Parigi e, dunque, hanno tutto l’interesse a tornare a occupare un ruolo di primo piano, anche stringendo alleanze di comodo. 



In questo senso è emblematico l’atteggiamento di Zintan, che è passata da esprimere supporto ad Haftar in chiave anti-tripolina a stringere un’alleanza con i rivali di Misurata, lo scorso marzo, proprio in ragione del comune status di esclusi dalla capitale. L’Italia vorrebbe coinvolgere nel governo del paese quanti più possibile, la Francia preferirebbe paradossalmente affidarsi al minor numero di interlocutori. Nel mezzo tutte le bande che si sentono a turno escluse dalla spartizione del bottino non esitano a lanciare la sfida, forti della certezza che in Libia muovere guerra è più conveniente che fare pace.