Ad Aleppo da qualche mese ha aperto nel collegio francescano di Terra Santa un centro di accoglienza e cura per 500 ragazzi e ragazze traumatizzati dalla guerra. Ce ne parla padre Firas Lutfi, Superiore del collegio di Terra Santa ad Aleppo: “Questa è carità fattiva, non sono parole o promesse. Ad Aleppo due anni dopo la fine dei combattimenti non è ancora ricominciata una vera ricostruzione sistematica della città, ma a noi interessa ricostruire le pietre che sono gli esseri umani, per questo ci dedichiamo ai ragazzi, in modo che superando i loro traumi possano diventare i protagonisti della Siria del futuro”. Purtroppo i venti di guerra hanno cominciato di nuovo a soffiare: “Adesso gli occhi di tutti sono puntati verso Idlib, una città e una provincia occupata da decine di migliaia di jihadisti, che il governo vuole liberare. Siamo molto preoccupati per il prezzo di sangue che inevitabilmente si pagherà”.
Padre Lutfi, come procede la ricostruzione di Aleppo e la pacificazione tra la popolazione?
Il processo di ricostruzione vero e proprio non è ancora iniziato. Ci sono alcune iniziative sporadiche, ma non in modo organizzato. La vita ad Aleppo due anni dopo la liberazione e la riunificazione della parte est e ovest è sicuramente pacifica, non si sentono più i bombardamenti, non c’è più morte e paura. Adesso però i nostri occhi sono puntati verso la città di Idlib, una città molto grande, il cui territorio confina con quello di Aleppo e la Turchia.
Il governo di Assad ha annunciato un’offensiva per la liberazione di questa zona: sarà un nuovo bagno di sangue?
Vi vivono decine di migliaia di jihadisti provenienti da tutto il mondo, quelli che hanno abbandonato Aleppo, Damasco e altre parti della Siria sono lì con le loro famiglie. Si sta avvicinando il momento di liberare quella regione. C’è chi dice che si farà il possibile per salvare i civili, ma non è una battaglia classica con due fronti di militari contrapposti. Si combatterà inevitabilmente casa per casa.
Come è stato ad Aleppo?
Sì. Noi condanniamo ogni forma di violenza da qualunque parte, però il problema è che i jihadisti usano i civili come scudi umani. Malgrado i tentativi e le possibilità offerte per evitare la violenza sui civili purtroppo ci saranno vittime perché si combatte dove vive la gente comune.
Nella provincia di Idlib ci sono comunità cristiane?
Ci sono tre villaggi con circa 200 persone e due parroci francescani, l’unica presenza religiosa sono queste due parroci. Prima della guerra c’erano molte più parrocchie e fedeli, ma oggi le chiese e le città sono vuote. I jihadisti hanno occupato tutto, hanno espropriato le proprietà dei cristiani, hanno ucciso e la gente è fuggita per la paura. Qualche giorno fa un parrocchiano è stato rapito non si sa da chi e non si sa perché, non si sa niente di lui. C’è un clima di paura molto forte. Attendiamo il bene e la pace ma non vediamo grandi speranze in quella zona.
Il presidente americano Trump ancora una volta ha minacciato Assad, mettendolo in guardia: un suo intervento che colpisca i civili provocherà la reazione degli Usa. Per voi siriani invece Assad rimane un punto di riferimento?
Le minacce americane sono chiacchiere, un sasso nell’acqua, non sanno neanche cosa vogliono, non sappiamo quali sono i loro interessi, ma da una parte o dall’altra ci sono troppi interessi stranieri in Siria. Ogni tanto accusano il governo dell’uso di armi chimiche, ma sappiamo che si tratta di bugie prefabbricate per danneggiare Assad. Nell’unico caso dimostrato di uso di armi chimiche gli jihadisti non hanno permesso agli inviati dell’Onu di controllare. Se Assad era davvero colpevole come sostenevano loro, avrebbero dovuto farli entrare e invece non l’hanno permesso. Noi diciamo basta a queste minacce, basta con questa messa in scena di chi attacca Assad. Bisognerebbe impegnarsi a costruire la pace e non a vendere armi agli jihadisti.
Come sappiamo hanno sempre fatto gli americani, è così?
Sappiamo i nomi dei responsabili, sono i paesi del Golfo appoggiati dagli Usa, questa è la verità. Lo sappiamo noi che viviamo in Siria e vediamo le cose come stanno, purtroppo l’Europa ci ha abbandonati.
Ci ha già parlato in passato del vostro lavoro come francescani in sostegno della popolazione. In cosa siete maggiormente impegnati adesso?
Davanti alla violenza e alla morte noi siamo sempre per la vita e per il bene di tutti: ricostruzione non solo dei mattoni ma delle pietre che sono le persone vive. Oltre a diversi progetti di emergenza cerchiamo di ricostruire l’essere umano. Nel nostro collegio abbiamo inaugurato un centro per la cura di 500 ragazzi e ragazze colpiti da trauma da guerra, li abbiamo accolti con l’arte, la musica, lo sport con l’aiuto di un team di psicologi e assistenti sociali. Li aiutiamo a superare il trauma che vivono e a promuovere i loro talenti, cosa che non hanno potuto fare durante la guerra. E’ una carità fattiva, non sono parole o promesse.
(Paolo Vites)