Con un Partito conservatore al governo spaccato in tre (pro Brexit, anti Brexit e centristi di Theresa May) il caos sulla Brexit è ormai totale. Come ci ha spiegato Leonardo Maisano, commentatore del Sole 24 Ore da Londra, il Parlamento inglese ha ripreso in mano il processo della Brexit dopo i numerosi fallimenti di Theresa May e sta mettendo il primo ministro con le spalle al muro, dopo aver imposto l’ultimatum a presentare, in appena tre giorni, un piano alternativo in caso di esito negativo nel voto del 15 gennaio. Tempi troppo stretti, che possono portare a elezioni anticipate, hard Brexit, una uscita senza condizioni, e addirittura a un nuovo referendum.
La Camera dei Comuni ha approvato un emendamento che impone al Governo, in caso di bocciatura della ratifica dell’accordo con la Ue, di ripresentarsi in Parlamento entro 3 giorni per presentare un piano B sulla Brexit. Che cosa significa questo voto?
Significa che il Parlamento ha ripreso in mano il processo della Brexit, che nei primi due anni è stato gestito dal Governo senza lasciare spazio al Parlamento. Adesso le cose sono cambiate, di fronte all’evidente difficoltà nella gestione dell’iter della Brexit da parte della May. L’emendamento votato ieri è la conferma che il Parlamento è contrario alla firma dell’accordo della premier con l’Unione Europea.
Cosa potrà succedere adesso?
Martedì prossimo l’accordo della May non passerà in Parlamento. La premier avrebbe avuto, secondo l’iter parlamentare, tre o quattro settimane per ripresentare la sua proposta con eventuali variazioni, così da renderla più accettabile. Invece adesso dovrà farlo entro tre giorni.
Praticamente impossibile, non è vero?
Non avrà tempo di consultare i colleghi della Ue e della Commissione europea. Si troverà in ulteriore difficoltà: il Parlamento sta prendendo sempre più il controllo, per evitare che si vada verso una hard Brexit, uscendo cioè senza accordi definiti con l’Europa.
E la May cosa dice?
La principale preoccupazione del Parlamento è che la May arrivi al 29 marzo prendendo tempo e quindi dicendo: accettate il mio accordo o sarà il disastro.
Quali sono i possibili scenari a questo punto?
Uno potrebbe essere l’adozione del modello norvegese (il Regno Unito fa pienamente parte del mercato interno europeo, oltre alla pesca e all’agricoltura, ma non è rappresentato nelle decisioni che prendono le istituzioni, ndr), un altro la convocazione di un nuovo referendum, che resta comunque un’ipotesi abbastanza complessa e divisiva dell’opinione pubblica e dello schieramento parlamentare. E’ essenziale che venga chiesta una dilazione dei tempi e che il 29 marzo non ci sia la Brexit, perché ci vogliono almeno altri sei mesi. Anche perché un’altra ipotesi sono le elezioni anticipate.
Theresa May, però, ha dichiarato che la Brexit si farà comunque il 29 marzo.
La May è fatta così: lei insiste con le sue scelte politiche e con le sue cosiddette linee rosse, poi quando si rende conto che le linee rosse non sono possibili, accetta quello che le propongono. Come è successo con la Commissione europea. Si era presentata rigidissima, poi ha dovuto accettare praticamente tutto quello che l’Europa le ha detto di fare.
E cosa dirà questa volta?
Può darsi che dica: o il mio accordo o una hard Brexit. Ma il Parlamento farà di tutto per impedirlo.
Come è oggi la situazione all’interno del Partito conservatore?
Non è più un’entità unica, si è spaccato in correnti in lotta fra di loro. La Brexit stessa è uno scontro di potere all’interno del partito. Boris Johnson, ad esempio, è diventato pro Brexit unicamente per la sua voglia di prendere il potere nel partito e poi nel Paese. C’è, poi, un’ala da sempre vicina all’Unione Europea, un’area rigorosamente pro Brexit e infine l’ala governativa centrista della May, dove ci sono diversi ex Brexiter.
(Paolo Vites)