Una donna e il marito, in carriera tutti e due, come si usa dire. Aprire nuove aziende, viaggiare continuamente, diventare una manager sempre più importante. Il tempo per fare un figlio, quello mai. Tanto che quando si presenta l’occasione, gli impegni di lavoro sono ormai talmente tanti che l’unica opzione possibile è quella: abortire. Una storia come tante, nelle ricche società occidentali. Questa in particolare, raccontata sul sito ChurchPop, assume la forma di una confessione per puro caso, per puro bisogno personale. Succede a una donna di sedere vicino a un’altra su un aeroplano, tornando dalla marcia per la Vita a Washington. La prima apre il proprio computer e la foto dello sfondo è quella di una piccola, splendida bambina, sua figlia. La donna a fianco non può fare a meno di notarla e commuoversi. Succede così, che davanti al silenzio di questa, la seconda donna si apre in un racconto torrenziale, quasi come se parlasse a se stessa più che a qualcun altro. E le racconta la sua vita fino al momento dell’aborto.
CAMBIARE I CUORI PER SCONFIGGERE L’ABORTO
“Mi spiace” mormora l’altra completamente imbarazzata, senza saper cosa dire. “No” risponde l’altra “sono io che devo dire mi spiace. Ho privato il mondo di mio figlio, ho privato me stessa di mio figlio e non me lo perdonerò mai”. Per tante, molte, donne abortire diventa un dramma che non si perdoneranno mai, “vivo con la morte nel mio corpo” capita di sentirle dire. “Non passa un giorno senza che pensi al bambino che ho abortito, non un solo giorno. Ma questo mondo non è pensato affinché le donne abbiano dei figli, specialmente le donne che lavorano. L’aborto non dovrebbe essere la risposta, questo mondo dovrebbe dare più aiuto alle madri”. Una frase che non si può smentire, visto come le società e i governi limitano al massimo il sostegno, anche economico, alle famiglie, o di come le aziende si sbarazzino in due secondi di una dipendente che rimane incinta. L’aereo arriva a destinazione, le due donne si salutano con un abbraccio. La prima, che aveva partecipato alla marcia per la Vita a Washington, chiude il suo racconto così: “Il lavoro di cambiare la legge e cambiare i cuori comincia dopo che le strade si sono svuotate da chi manifestava. Comincia con incontrare le persone, ascoltarle e volere loro bene”. Non è infatti con le marce che si convincono le donne a non abortire, non basta.