Il trattato tra Germania e Francia firmato ieri ad Aquisgrana riguarda soprattutto l’apparato militare. Il che vuol dire che i due paesi intendono creare un apparato innanzitutto produttivo che possa fare da volano all’economia dei due paesi.
Occorre ricordare che da tempo immemorabile il maggiore apparato industriale degli Stati Uniti è proprio quello delle armi. Possono cambiare i presidenti, ma esso rimane al centro della politica americana, anche rispetto a scelte di indirizzo interno, e non solo esterno.
Ricordo che il grande pensatore Bertrand Russell indicò in tale apparato il cuore dell’interesse di ogni amministrazione Usa. Occorre inoltre sottolineare che l’industria militare è anche al centro dell’economia russa: le armi costituiscono l’unico grande settore di esportazione di Mosca a parte gas e petrolio, settore col quale Putin non solo incassa soldi ma si apre corridoi per dialogare da una posizione di forza con moltissimi Stati, coi quali si possono fare affari, e pure trattati di difesa.
La Russia come partner economico, ma soprattutto come partner politico e militare, può infatti interessare a molti. Ed il controllo di vaste aree del mondo sta a cuore a Mosca anche nella sua veste di grande esportatore di gas e petrolio.
Su tale tema ho già scritto un lungo articolo che chi è interessato può andare a leggere.
Quello che voglio rimarcare ora è che l’apparato industriale-militare è fondamentale per una economia avanzata, e questo, ovviamente, in spregio di tanti discorsi, evidentemente idealistici, quando non demagogici, circa la non proliferazione di armi, comprese, ovviamente, quelle nucleari.
La Francia è in questo momento un partner più avanzato della Germania nel settore della produzione industriale militare. Parigi, infatti, da tempo produce quasi tutti i propri armamenti, compresi gli aerei da caccia, la capacità di sviluppo dei quali condivide con pochissime nazioni. Ricordiamo tutti i famosi Mirage, ad esempio. Inoltre la Francia, in Europa, è l’unico paese a possedere dei vettori spaziali propri, e così via.
Il riferimento agli aerei da caccia non è casuale, nel senso che essi rappresentano forse le macchine militari più avanzate, che richiedono un impegno enorme, in termini economici e di ricerca, da parte di un singolo paese. Ricordo, ad esempio, che i celebri Tornado nascono dalla collaborazione di tre Stati, ossia Germania, Regno Unito ed Italia, e che gli F35 saranno in parte assemblati nella nostra penisola, ma sono stati sviluppati completamente negli Stati Uniti, ossia una superpotenza.
Da alcuni anni si stanno affacciando sul mercato delle armi avanzate anche Cina e India, ma per adesso tali nazioni copiano per lo più modelli russi o americani. Infine ci sono gli israeliani, i quali fanno caso a sé per vari motivi.
Tutto questo per dire che solo la Francia, in Europa, possiede un’industria militare a 360 gradi, mentre l’Italia e pure la Germania seguono a distanza.
Ora la Francia cerca di nuovo la Germania per una partnership industriale. L’aveva già fatto, per citare solo i progetti più noti, riguardo all’automobile Smart, ma anche, e soprattutto, all’Airbus.
Ora l’Airbus è un concorrente diretto della Boeing, a cui ha strappato fette importanti di mercato. Questo tanto per iniziare. Per continuare, occorre dire che questa volta, con il trattato di Aquisgrana di ieri, non si intende prendere in considerazione solo un progetto bensì un intero settore manifatturiero.
Noi italiani non dovremmo essere insensibili ad un simile scenario, perché rappresenta una chiara minaccia al nostro status di seconda economia manifatturiera europea, dopo quella tedesca. Se davvero la Francia e la Germania dovessero avere successo in un progetto del genere, ebbene, pensiamo sul serio di rimanere a lungo la seconda manifattura europea?
E poi, qui non si tratta solo di quantità, ma di qualità: avete presente quale tipo di sviluppo e ricerca richieda un settore del genere? E ancora: nessuno ha sospettato che l’attacco di questi ultimi giorni al conglomerato industriale formato dall’italiana Fincantieri coi francesi del cantiere navale di Saint Nazaire faccia il paio con la ratifica di un patto di cooperazione strategica franco-tedesco in cui gli italiani, concorrenti soprattutto dei cugini d’oltralpe, non debbono assolutamente entrare?
Cosa faceva la politica italiana quando Parigi pensava ad un progetto di così grande respiro? Eppure esso viene dopo altri, come ho detto, in un crescendo che evidentemente nessuno ha ipotizzato a Roma. Si chiama politica industriale, e dispiace notare come la politica italiana, che costituisce evidentemente una burocrazia come un’altra, considerato il cv della maggior parte dei suoi rappresentanti (a vita), non riesca mai ad annusare l’aria, come si dice, non riesca mai a sintonizzarsi su progetti di grande respiro.
E quindi lasciamo che il nostro principale concorrente europeo, la Francia, quello che sta comprando fabbrica dopo fabbrica le aziende della penisola usando i soldi di un sistema bancario che fa quadrato attorno al proprio mondo produttivo, ed è potenziato dalle rimesse che alla Francia vengono dall’Africa (col franco Cfa), lasciamo, dicevo, che il nostro principale concorrente nel continente faccia continue proposte alla Germania, il parente ricco di tutti gli europei, con enormi benefici innanzitutto per Parigi.
Ma ci siamo davvero ammattiti tutti? L’Italia, cioè il secondo produttore manifatturiero d’Europa, con delle potenzialità enormi nel settore militare avanzato se solo sfruttasse sino in fondo le competenze attuali di alcuni importanti player nazionali, potenziate dalla tecnologia aerospaziale che l’Italia non deve invidiare a nessuno nel continente, l’Italia potrebbe a sua volta proporre dei progetti comuni alla Germania a testa alta, e non col cappello in mano: a meno che qualcuno – improvvisamente svegliatosi dal letargo romano – non indichi altre strade, ora che siamo in colpevole ritardo rispetto ai francesi nella collaborazione con i tedeschi.
Non vogliamo fare proposte alla Germania? Benissimo, ma allora qualcuno a Roma ci indichi altri partner: che però non mi cercherei, come è già successo, in Russia. Me li cercherei altrove, dove non so.
Credo che il trattato militare a livello industriale franco-tedesco abbia l’ambizione di creare prodotti in concorrenza con gli americani, come è già successo con Airbus. Soprattutto lo temo. Anche perché si tratta di progetti di respiro perlomeno europeo che dovrebbero essere condivisi con il maggior numero di partner del Vecchio continente capaci, e l’Italia è di sicuro uno di questi, e il fatto che ciò sinora non sia successo mi fa molto pensare.
La Francia vuole scalzare l’Italia dalla sua posizione industriale in Europa, e ci sta riuscendo.
I politici di Roma vogliono permettere questo? Magari Di Maio vorrà difendere la posizione del pacifista, non so: del resto, a mia volta non amo le armi. Mi sto solo ponendo una domanda di realpolitik.
Se qualcuno ha in testa un progetto industriale che per quantità e qualità possa competere con quello franco-tedesco all’insegna del predominio tecnologico e manifatturiero, ebbene, si faccia avanti. Credo che la politica industriale-militare dei due partner europei abbia avuto una spinta sia dall’allontanamento americano – in occasione del quale sono stati i francesi a volersi sostituire agli Usa con la Germania dopo le bordate subite da Washington – sia dal discorso di Putin sul pericolo atomico di qualche tempo fa.
Come già rilevato in un mio precedente articolo, Putin in tale intervento ha voluto soprattutto rimarcare la superiorità della produzione militare del proprio paese, e questo sia in veste di mercante delle armi russe, le quali sono meraviglie assai redditizie, sia di arbitro internazionale, facendo intendere che chi compra i suoi missili, ad esempio, si garantisce un’importante protezione direttamente ma anche indirettamente, procurandosi l’amicizia di Mosca: un’amicizia preziosa, come il caso siriano sta mostrando ampiamente.
Ecco, credo che Parigi, con la sua “grandeur”, stia pensando a qualcosa del genere, abituata come è a guardare il mondo come un territorio da conquistare, ed anzi già in parte conquistato, se si pensa al caso africano. E’ di poche settimane fa l’affermazione del Presidente francese di ambire a rendere di nuovo la Francia una superpotenza: il trattato di Aquisgrana va chiaramente in tale direzione.
Detto ciò, l’alleanza con la Germania può permettere anche la retorica dei valori difesi e dei buoni sentimenti, perché i francesi e i tedeschi ora le armi le fanno assieme per rimarcare il loro nuovo spirito di pace, la loro nuova fratellanza, la loro voglia di non dichiararsi più guerra (e le armi sono fatte apposta per simboleggiare meraviglie del genere, lo sappiamo tutti).
Un’ipocrisia, insomma, grande come un carro armato, anzi come una portaerei: ma alle ipocrisie franco-tedesche noi italiani siamo abituati. Ora è venuto il momento di muoversi, io credo: e non solo da italiani, ma anche da europei, se non vogliamo che il continente diventi l’incubatore della crescita di pochi, e addirittura di un mostro economico e militare a due teste.
Salvini e Di Maio hanno ragione a prendere di mira la Francia: peccato che lo facciano quasi sempre per i motivi sbagliati, nonostante abbiano entrambi il merito di non essere laureati. Conte da buon professore universitario ovviamente non può aiutare. Che possa venire in soccorso anche questa volta Lino Banfi? Fantozzi no: a combattere “contro tutti” ci pensano già i due vicepremier.