Nuova puntata della telenovela Brexit. Nella giornata di ieri la Camera dei Comuni ha approvato con 317 voti a favore un emendamento riguardante la modifica di una delle parti su cui si è dibattuto di più dell’accordo con l’Ue, leggasi il backstop con l’Irlanda del Nord: il deal attuale prevede che Belfast rimanga temporaneamente nel mercato unico di modo da evitare un hard border, ma tale soluzione non è mai andata a genio a Londra. L’emendamento è stato appoggiato da Tory e Unionisti del Dup, che sostengono che il backstop dovrebbe essere sostituto «con soluzioni alternative per evitare un confine duro tra Irlanda e Ulster», anche se al momento nessuno sa dire quali sarebbero tali soluzioni. Stephen Barclat, segretario di stato, ha spiegato che «questo sarà oggetto dei negoziati con Bruxelles». La cosa certa è che la May esce più forte da questa nuova intesa all’interno del governo britannico, pronta quindi a rinegoziare l’accordo di ritiro dall’Unione Europea. Ma non sarà semplice per i britannici ottenere ciò che vogliono, visto che Donald Tusk, presidente del consiglio, ha commentato le ultime novità dicendo: «Il backstop è parte di quell’accordo, e quell’accordo non è aperto a nuovi negoziati». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
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Il voto sarà decisivo e se non dovesse esserci un accordo sul Piano B, allora si va diretti il giorno dopo con nuovo voto a Westminster sul “vecchio” accordo sulla Brexit con il probabile – quasi certo – “niet” del Parlamento e il conseguente spettro del no-deal sempre più vicino. «Un non accordo sarebbe disastroso» rilancia ancora il leader del Labour in attesa di trovare un accordo sul proprio emendamento che garantirebbe il rinvio della data di divorzio per rinegoziare al meglio un Piano B «decente e inevitabile». Per ora la May fa spallucce e ritiene di poter trovare una sponda in Bruxelles, cosa però ancora non avvenuta in tutti questi mesi di forti difficoltà della Premier inglese a Westminster: intanto è di giornata la notizia del via libera della commissione per le libertà civili del Parlamento europeo all’esenzione dall’obbligo del visto per i cittadini britannici che vorranno recarsi nell’Ue dopo la Brexit per viaggi di breve durata. Secondo il regolamento approvato, dal giorno dopo il divorzio con il Regno Unito «i cittadini britannici non dovranno essere in possesso di un visto quando si recheranno nello spazio Schengen per permanenze brevi, fino a 90 giorni, in un periodo di sei mesi». (agg. di Niccolò Magnani)
MAY, “IMPEGNO A MODIFICA ACCORDO UE SUL BACKSTOP”
Intervenendo alla Camera dei Comuni, la Premier Theresa May ha ribadito il forte impegno del suo Governo per cercare di rinegoziare con l’Unione Europea l’accordo di divorzio raggiunto lo scorso novembre e bocciato ad inizio 2019 dalla maggioranza del Parlamento inglese. In particolare, la May si impegna «ad introdurre le garanzie vincolanti contro il contestato meccanismo del backstop per l’Irlanda»: per questo motivo il prossimo 13 febbraio la Premier ha annunciato di aver fissato il voto alla Camera dei Comuni sul Piano B per la Brexit. «Intendo tornare in aula anche se il negoziato con Bruxelles dovesse fallire entro il 13», spiega la May, con un statement da sottoporre al dibattito della Camera con votazioni su possibili emendamenti il giorno dopo. Insomma, il Primo Ministro Tory fa “all-in” con Westminster sperando che Bruxelles possa riaprire le porte del negoziato (difficile) e provando a rinviare, eventualmente, l’uscita dall’Europa: il leader dell’opposizione Jeremy Corbyn ha subito commentato, «a questo punto è inevitabile il rinvio dell’uscita dall’Ue». (agg. di Niccolò Magnani)
L’INCUBO DEL NO DEAL
Sarà una giornata importante per la Brexit quella di martedì 29 gennaio 2019: Theresa May si confronterà nuovamente con il Parlamento che tenterà di imporle l’ennesimo rinvio (mentre la scadenza del 29 marzo si avvicina pericolosamente) dinanzi ad un contestato meccanismo di backstop fra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda che continua a rivelarsi lo scoglio principale sulla strada dell’intesa con l’Unione Europea. Un ostacolo talmente arduo che almeno per ora lo spettro del “no deal”, l’uscita senza accordo, aleggia pericolosamente nei discorsi di milioni di cittadini britannici. Perché sembra sempre più evidente che una questione apparentemente tutta “politica” potrebbe avere degli impatti devastanti sulle vite quotidiane del popolo che ha votato per la Brexit (e anche per chi ha votato per restarci, a dirla tutta). Un esempio? Alcune delle maggiori catene di supermercati e fast food quali Sainsbury’s, Asda, Marks & Spencer, Waitrose, The Co-op, Lidl, McDonald’s, Kfc, insomma, veri e propri colossi, hanno lanciato l’allarme: con il no deal potrebbe verificarsi addirittura una penuria degli approvvigionamenti di generi alimentari di base. Insomma: scaffali vuoti nei supermercati. Panico in UK…
BREXIT, “SENZA ACCORDO ALLARME CIBO”
I colossi della grande distribuzione alimentare in una lettera aperta denunciano i rischi di un no deal in materia di Brexit che, a loro dire, potrebbero minacciare – almeno nell’immediato – le forniture di vari prodotti d’importazione. Nella missiva, come riportato da Il Messaggero, si legge:”Siamo estremamente preoccupati dei rischi significativi che incombono sul mantenimento della scelta, della qualità e della durata dei cibi a disposizione dei nostri clienti” nel caso in cui si materializzasse un taglio netto con l’Ue. I vertici delle catene di supermercati prefigurano uno scenario in cui si manifesterà “un’inevitabile pressione sui prezzi a causa dei costi di trasporto più alti, della svalutazione della sterlina e dei dazi”. Uno scenario da incubo che però non sembra campato in aria se si pensa che in questo periodo della stagione i cittadini del Regno Unito importano dall’Ue fra il 70 il 90% della frutta e della verdura. Da qui l’appello che ha il tono quasi dell’invocazione affinché governo e Parlamento trovino “urgentemente una soluzione per evitare lo shock di una Brexit no deal”.