L’accordo di principio che gli Stati Uniti e i talebani hanno trovato significherebbe la fine di una guerra quasi ventennale, la più lunga in cui siano mai stati impegnati, che gli americani non sono riusciti a vincere e che è costata migliaia di vittime. Alla base dell’accordo un patto comune contro al Qaeda e l’Isis, che, soprattutto i secondi, come ci ha detto Marco Bertolini, ex capo di stato maggiore del Comando Isaf in Afghanistan, “oggi rappresentano un nemico ben più pericoloso dei talebani”. In cambio le forze armate americane lascerebbero il paese, mentre i talebani promettono di non imporre più uno stato islamico, “ma una forma di legge islamica più moderata simile a quella in vigore in Pakistan”. Manca adesso l’ok del presidente afgano Ghani che però si è già detto disponibile ad aprire un serio dialogo con i talebani. E’ davvero la fine della guerra cominciata con l’attacco alle Torri Gemelle nel 2001?



Quanto Stati Uniti e talebani hanno concordato in linea di principio può essere letto in diversi modi: uno potrebbe ricordare la fuga americana dal Vietnam nel 1975. Lei che idea ne ha?

Intanto va detto che una marcia di avvicinamento tra governo afgano e talebani era in corso da parecchio tempo, sotto la presidenza Ghani.

Però pochi giorni fa c’è stato uno degli attentati più sanguinari di sempre da parte dei talebani, con quasi 200 vittime nei pressi di Kabul.

Il passaggio verso quanto concordato non può certo essere indolore, questo attacco fa ancora parte di quella guerra ventennale che di fatto gli Stati Uniti e gli alleati della Nato non sono stati capaci di vincere.

Gli americani ora promettono di andarsene dall’Afghanistan. Lei come intende questa decisione?

Come dicevamo è una guerra che dura ormai da quasi vent’anni e in un periodo di tempo così lungo succedono tante cose. Probabilmente è anche un’ammissione, da parte americana, che senza un accordo con i talebani una soluzione non si può ottenere, vista la comparsa dell’Isis che in effetti è sempre più forte, mentre i talebani non lo sono più allo stesso modo. Certo, che questo accordo possa trasformarsi nella pace tanto attesa è presto per dirlo.

I talebani promettono di non imporre più uno stato islamico come quello del terrore che aveva eretto il mullah Omar: questo significa che ci sarà uno stato talebano dentro lo stato afgano?

I talebani hanno sempre goduto di un appoggio della popolazione indiscutibile; con questo accordo gli Stati Uniti ne prendono atto. Da un punto di vista strategico, in questi anni gli americani si sono concentrati sul controllo delle città e dei grandi centri. Da tempo sono impegnati in un tipo di operazione che vede il disimpegno sul terreno, lasciandone il controllo alle forze di sicurezza afgane. In sostanza, è come se avessero deciso di lasciare quei territori dove i talebani sono più forti degli afgani stessi.

In questo quadro il patto contro al Qaeda e Isis che consistenza prende?

I talebani hanno promesso di impedire che l’Afghanistan diventi una piattaforma per gruppi terroristici internazionali. E’ un passo molto importante, che porta a un cambiamento delle logiche e delle strategie terroristiche significativo.

Il presidente afgano si è già detto pronto ad aprire il dialogo con i talebani: pensa che terrà fede a queste parole? Che il dialogo tra Ghani e talebani si svolgerà senza problemi?

Se gli americani hanno deciso così, non credo che Ghani, che è dipendente dal supporto americano molto di più di quanto lo era il precedente presidente, si tirerà indietro. Non credo sia in grado di opporsi a una decisione del genere. Credo che ne dovrà prendere atto.