Stavolta è l’Italia a finire nell’agenda di Kim Jon-un. Ieri l’intelligence di Seul ha svelato che un diplomatico della Nord Corea in Italia con funzioni prima di ambasciatore “reggente” e poi di incaricato d’affari, Jo Song-gil, ha chiesto asilo politico per sé e per la sia famiglia in un “imprecisato paese occidentale”, mentre il quotidiano di Seul JoongAng Ilbo ha scritto che in attesa dell’asilo politico il diplomatico è attualmente protetto dal governo italiano. “Non risulta una richiesta d’asilo da parte di un funzionario nordcoreano” ha dichiarato il nostro ministero degli Esteri. Una comunicazione che esclude l’Italia dai paesi destinatari della richiesta di asilo, ma che non nega il ruolo di protezione e di mediazione che il nostro paese potrebbe avere nella vicenda. L’assenza di Jo Song-gil risalirebbe ai primi di novembre, a pochi giorni dalla scadenza della missione prevista per il 20 del mese. Il diplomatico lavorava in ambasciata da maggio 2015 e secondo il giornale sudcoreano sarebbe imparentato con personalità ai più alti livelli del regime del Nord. “La prima cosa che questa defezione dimostra — dice Francesco Sisci, giornalista, docente nella Renmin University of China — è l’incertezza profonda del regime nordcoreano. Nessuno a Pyongyang si sente ancora al sicuro nonostante le aperture del giovane dittatore e le speranze del dialogo con il presidente americano Donald Trump”.



Perché una scelta del genere l’ha fatta un diplomatico in Italia?

Avrebbe potuto essere un ambasciatore in qualunque posto. Probabilmente quello in Italia era meno sorvegliato dal suo apparato, perché l’Italia, diversamente da New York, dove c’è l’ambasciatore nordcoreano all’Onu, è meno a rischio.

Siamo di fronte a un caso solo più eclatante di fuga dalla Nord Corea?



E’ un caso eclatante ma non il più eclatante. Nel 1997 fuggì attraverso la Cina Hwang Jang-yop, ex membro del politburo. In Cina ci sono tra i cento e i 300mila profughi nordcoreani. Le defezioni alla spicciolata continuano, anche se scoraggiate dalla Cina o dalla Russia, i due paesi con cui Pyongyang ha un confine terrestre abbastanza percorribile. Il problema è che pochissimi di questi arrivano in Sud Corea e qui praticamente nessuno riesce a integrarsi nella nuova società.

Come si spiega la scelta di Jo Song-gil, appartenente, così pare, ad una famiglia importante del regime?

E’ una mossa nei fatti molto politica, perché vuol dire che non si è fidato del nuovo corso. La sua decisione è una sorta di voto con i piedi contro il giovane Kim. Significa che il nuovo corso di Pyongyang è quantomeno ancora molto incerto e con forti dissensi, proprio tra gli alti quadri.



“Non risulta una richiesta d’asilo da parte di un funzionario nordcoreano” ha detto la Farnesina. Quali saranno le mosse del governo?

Questo dipende anche da come le autorità italiane intenderanno giocare la partita. L’Italia non ha interesse ad aumentare la tensione con Pyongyang e questo può spiegare per esempio il fatto che la notizia sia trapelata da Seoul circa un mese dopo la fuga.

Ha ragione Jo Song-gil a non fidarsi del nuovo corso?

Non sappiamo se ha ragione o torto. Hwang nel 1997 annunciava che il regime era sul punto di crollare, 22 anni dopo siamo ancora qui. Kim si sta muovendo con estrema astuzia e senza scrupoli con il passato. Forse questa defezione è solo un colpo di coda del passato. Di certo la Nord Corea non ha ancora trovato un suo equilibrio nella classe dirigente, e molti continuano a non fidarsi del futuro.

Chi oggi avrebbe interesse ad aumentare la tensione con Pyongyang?

Non credo che ci sia uno Stato preciso; molti però, in molti Stati, non si fidano anche a ragione di Kim e vedono la Nord Corea come parte di un gioco più complesso dove la Cina è al centro. Qualcuno potrebbe non volere veder scendere la tensione nella penisola coreana.

Sta parlando di Mosca?

Direi così: bisogna capire come venire incontro ad alcune esigenze della Russia. Mosca non può essere schiacciata e umiliata, ma nemmeno può mestare nel torbido.

(Federico Ferraù)