Due giorni di incontro a Pechino fra le delegazioni economiche di Stati Uniti e Cina, per riprendere il tentativo di dialogo iniziato lo scorso 1 dicembre a Buenos Aires, prima tregua della disputa tariffaria fra i due colossi dell’economia mondiale. Uno scontro/incontro che tocca inevitabilmente tutto il mondo, perché le scelte di uno dei due paesi influenzano tutti. Il problema maggiore, ci spiega Francesco Sisci, è il sistema di Pechino, un ibrido fra comunismo e capitalismo pensato come sistema chiuso, dove nessuno può entrare senza permesso dello Stato e che in questo modo svantaggia le aziende del resto del mondo, che invece fanno fare affari ai cinesi senza problema. Chi ne uscirà vincitore è ancora troppo presto per saperlo.



Quali sono le vere carte in gioco sul tavolo delle delegazioni Usa-Cina? E’ davvero la questione tariffaria quella che viene discussa?

Sul tavolo ci sono una serie di richieste. La posizione americana è quella di chiedere la fine dei furti tecnologici e di proprietà intellettuale, l’apertura del mercato cinese e la fine della politica di sussidio e sostegno statale al programma di innovazione tecnologica delle aziende cinesi.



Che cosa dice Pechino di questi argomenti?

Molto difficilmente potranno essere accettati. I cinesi possono dare un 30, 40 per cento di quanto chiesto ma il 100 per cento è difficile se non impossibile.

Perché?

Queste richieste vanno al cuore del sistema economico cinese che è andato avanti finora grazie a tre elementi: un mercato chiuso e protetto, l’acquisizione di tecnologia attraverso i mezzi più economici e – terzo – sussidi statali alle imprese. Di fatto significherebbe rivoluzionare il sistema economico cinese.

Probabilmente per gli Usa ci sarebbe anche il problema di avere delle verifiche di quanto concordato.

Infatti, gli americani ad esempio sono particolarmente furiosi con i furti tecnologici, vogliono delle misure verificabili. Hanno già avuto l’esempio dell’Unione Sovietica: l’Urss firmava accordi sul nucleare che rimanevano lettera morta e non vogliono subire la stessa situazione. Si può pensare che gli americani accettino degli accordi senza avere la possibilità di verificarne gli adempimenti? Difficile.

Che cosa divide di più al momento i due paesi?

C’è una questione non citata, ma che aleggia dietro tutto: la differenza di sistema economico-politico. Da una parte un sistema fra virgolette socialista che è una sorta di ibrido, dall’altro un sistema capitalista. Questo problema non esisteva con l’Unione Sovietica, erano due sistemi completamente diversi, due mondi separati. Quello cinese e quello americano invece sono parzialmente integrati.

Nel senso che anche i cinesi fanno capitalismo?

Un’azienda cinese può andare in America e comprare quello che vuole, e in sostanza non avere a che fare con lo Stato. Una fabbrica americana non può fare lo stesso in Cina. C’è poi il diverso sistema politico: un cinese può dire sui giornali americani quello che vuole sul presidente americano, quello americano non potrà mai dire nulla sui media di Pechino. Tutto questo crea una situazione nuova nell’economia mondiale, dove il sistema cinese gioca a carte coperte mentre il resto del mondo no. Sono due sistemi con frizioni enormi che erano trascurabili quando la Cina era un’economia piccola, ma adesso abbiamo un sistema che può condizionare l’economia di tutto il mondo. Se la Cina decide di abolire il tè e vendere il caffè, il prezzo del caffè aumenta in tutto il mondo.

Quindi che strade ci sono?

I cinesi vogliono conservare questo sistema e gli americani palesemente no, sentono che questo sistema, comunista senza esserlo, cambia tutto il sistema politico economico mondiale.

Ci sono voci insistenti che parlano di crisi per l’economia cinese. E’ così?

Sembra di sì anche perché l’economia cinese dipende molto dal commercio con l’estero, che vale tra il 40 e il 50 per cento del Pil, e il surplus potrebbe valere attorno al 5 per cento del prodotto interno; sono cifre enormi. Non è un paese come Germania e Giappone con cento milioni di abitanti, qua si parla di oltre un miliardo e mezzo di persone che con questa esposizione all’estero sono destinate ad avere un impatto molto forte in caso di scontro commerciale.

Che previsione si può fare su questo scontro?

Occorre capire chi riesce a incassare di più, non tanto chi riesce a darle ma chi riesce a restare in piedi. I cinesi hanno un reddito più basso e in teoria dovrebbero avere maggiore capacità di soffrire, gli americani con un livello di vita più alto potrebbero essere meno capaci di soffrire. Il fatto che la Cina sia così esposta all’estero la indebolisce. La situazione è molto aperta.