Dopo alcune settimane di proteste popolari in Cisgiordania, il primo ministro palestinese Hamdallah ha rassegnato le dimissioni. La gente protestava contro le politiche economiche del governo, in particolare per la riforma delle pensioni. Secondo molti osservatori le nuove, ormai inevitabili, elezioni, le prime dal 2006, per il presidente palestinese Abu Mazen potrebbe essere l’occasione giusta, inseguita da anni, per cercare di estromettere dal nuovo governo Hamas – che ha già annunciato come una simile eventualità “andrebbe contro gli sforzi di riconciliazione nazionale” – e riprendere il potere nella striscia di Gaza. Ne abbiamo parlato con Filippo Landi, esperto di geopolitica mediorientale.
Cosa c’è dietro le dimissioni del premier palestinese Hamdallah?
Le dimissioni di Hamdallah rappresentano una notizia, che non trova spazio nelle prime pagine dei giornali internazionali e neppure in quelle di politica estera. Questo significa che la questione palestinese non è più al centro della politica mondiale. Non per questo possiamo considerare chiusa la questione palestinese e non per questo le dimissioni del primo ministro non hanno importanza.
Cosa rappresentano, allora, queste dimissioni?
Rappresentano il malcontento popolare nei confronti del governo che risiede a Ramallah e dove siede anche il presidente Abu Mazen. Malcontento legato a questioni economiche, non ultima una riforma delle pensioni che Abu Mazen ha deciso di sospendere. Dall’altra parte, rappresenta la presa d’atto del fallimento del governo di unità nazionale composto dal partito di Fatah e da Hamas, governo presieduto dal dimissionario Hamdallah, ma che di fatto non è mai entrato in funzione.
Si dice che Abu Mazen voglia cogliere l’occasione con questa crisi per cercare di tagliare fuori Hamas dal prossimo governo. E’ così?
Nelle intenzioni di Abu Mazen il governo di unità nazionale doveva riportare il potere dell’autorità nazionale sulla Striscia di Gaza, obiettivo che non è stato raggiunto. Ecco da dove viene la profonda delusione di Abu Mazen e adesso la possibilità concreta che il nuovo governo veda la presenza di Fatah senza Hamas. C’è da chiedersi, però: questo nuovo governo cosa farà? Abu Mazen ha già detto che vanno organizzate nuove elezioni parlamentari.
Ma Hamas ha anche detto che ogni tentativo di estrometterla andrebbe contro gli sforzi di riconciliazione nazionale. Quindi?
Siamo a gennaio, e proprio nel gennaio 2006 ci furono le ultime elezioni che videro la vittoria di Hamas, peraltro in modo regolare, senza alcun broglio, il cui risultato non venne però riconosciuto né da Fatah né dalla comunità internazionale. Adesso c’è da chiedersi: le prossime elezioni vedranno la partecipazione di tutti i partiti e dei movimenti palestinesi e soprattutto il risultato verrà riconosciuto da chi verrà eventualmente sconfitto? Elezioni sì, dunque, ma il risultato dovrà essere accettato da tutti.
In questo quadro Israele che posizione ha assunto?
Israele ha subito pigiato sul pedale dell’acceleratore per una normalizzazione di alcune situazioni in Cisgiordania, in particolare chiedendo agli osservatori internazionale di abbandonare Hebron. Ricordiamo che in quel gruppo che ha aiutato a garantire una certa pace operano anche i nostri carabinieri. E’ un segnale di come Israele vuole sbarazzarsi della presenza internazionale. Ma per fare cosa? Questa è la domanda da farsi alla vigilia delle elezioni politiche in Israele del prossimo aprile.