Cosa sta accadendo di simile in Paesi europei tanto diversi? La cronaca accomuna Francia e Albania: la piazza è violenta. Ma a Parigi come a Tirana questa ira funesta non è ideologica, non marcia verso il sol dell’avvenire con in tasca un libro rosso o verde o nero, semplicemente vuole spazzare via il governo, identificato con il potere del male. Caduto Macron a Parigi, e Rama a Tirana, andrà meglio: questo è il sentire dell’ondata ribelle. Perché dovrebbe mai sgorgare il bene dalla loro defenestrazione? Perché sì. Perché verrebbero i puri.
Si sa quasi tutto dei gilet gialli francesi. Di com’erano partiti con una rivolta spontanea per l’aumento del prezzo della benzina o (dice qualcuno) per l’esasperazione provocata dai limiti universali di velocità sulle strade a 80 km all’ora. Non esattamente una violazione dei diritti umani. Eppure esiste una sofferenza autentica dei “penultimi”. Una sollevazione da ceto medio impoverito, che sente parlare di ecologia e l’Eliseo chiede che sia questa gente, ormai convinta di scivolare verso la rovina, a pagare il conto di una fisima da ricchi. Questo all’inizio. C’era una carica di santa ingenuità. In ogni folla, insegna Manzoni, si annida il mascalzone, che fa comunella con altri cialtroni. Sono i predatori politici annidati nel torbido ad aizzare alla violenza. A sua volta anche il potere gradisce che i suoi avversari si mostrino cattivi, e ne fomenta le azioni distruttive.
Ieri a Parigi l’aggressione al filosofo Alain Finkielkraut, che non è certo prono al pensiero unico e politicamente corretto, al grido di dagli-al-sionista è sintomo di una degenerazione perversa del fenomeno (e non a caso i 5 Stelle ne hanno abbracciato l’ala più estremista, salvo poi ritirarsi da dilettanti scottati dall’olio bollente).
E l’Albania? Gli scontri anche qui sono contro un governo di centro-sinistra. Edi Rama, socialista, è al suo secondo mandato. Chi frequenta l’Albania, le nostre imprese che lavorano là, sa bene che cosa muove questa protesta: la corruzione è arrivata a livelli di platealità sconvolgenti. Dal basso in alto non si fa nulla, neppure la pratica burocratica più semplice, senza entrare in un meccanismo estorsivo.
La differenza è che qui la rivolta nasce da dentro il Parlamento, dove il Partito democratico (che qui è di centrodestra e fa capo al Partito popolare europeo) ha inscenato proteste in aula, facendole deflagrare in una manifestazione popolare che ha avuto esiti certo non voluti dal leader dell’opposizione Basha. I manifestanti – davvero tantissimi – hanno percorso le vie della capitale, e hanno alla fine sfondato le porte del palazzo del governo (Rama era fuori, a Valona). E’ sembrato che la polizia avesse l’ordine di lasciar fare, di cedere subito, quasi invogliando il gesto tipicamente rivoluzionario per giustificare uno stato di emergenza e una repressione indiscriminata, che vedremo probabilmente nei prossimi giorni.
Anche qui, come in Francia, a costituire il grosso della protesta non sono militanti ideologizzati, ma il ceto medio di recente costituzione, che appena raggiunto il benessere lo sente minacciato dall’arroganza della politica e dell’amministrazione pubblica. La richiesta delle opposizioni è quella di dimissioni di Rama e di elezioni garantite da un Governo tecnico, con osservatori internazionali che garantiscano da brogli. Una volta, sarebbe stato il governo italiano a essere chiamato ad una mediazione costruttiva. Adesso, è più probabile che siamo noi a chiedere una mediazione a qualche politico albanese o a qualche gilet giallo perché si dirimano i litigi tra gialli e verdi di casa nostra, perché l’opposizione in Italia non c’è, se la fanno da soli quelli che comandano. I quali sono andati al potere rappresentando proprio i ceti che a Parigi e a Tirana protestano e incendiano. Magari toccherà a loro la guida di Francia e Albania. Per fare come in Italia? Poveretti, che brutto destino.
La morale? Senza una società civile consapevole di se stessa, fondata su valori sperimentati e vissuti, qualsiasi cambiamento nato sull’onda della protesta porterà nuovi capitani al timone della nave, la quale, dopo un paio di manovre temerarie, finisce nelle secche o contro gli scogli.