Torna alla ribalta la questione del Kashmir, quella zona a nord dell’India divisa in tre zone amministrate rispettivamente da India, Pakistan e Cina. Una delle zone più esplosive del mondo, dove si trascina una guerra de facto sin dall’indipendenza di Pakistan e India per il controllo dell’intera regione, che nei decenni ha fatto almeno 40mila morti. L’ultimo episodio di questa guerra strisciante si è verificato lo scorso 14 febbraio quando un gruppo di terroristi islamici del gruppo jihadista Jaish-e-Mohammed (JeM) è sconfinato in territorio indiano uccidendo ben 44 poliziotti. Inevitabile la reazione indiana che ha promesso vendetta e quindi quella pakistana che ha risposto di essere pronta a rispondere con una rappresaglia. Secondo Francesco Sisci, esperto di Cina ed Estremo oriente, “quando succedono questi episodi tra i due paesi la tensione è altissima, perché entrambi sono armati di bombe nucleari”. Inoltre, ci ha detto, pesa la presenza cinese che da tempo sta cercando di acquisire maggior spazio nella regione anche per portare avanti il suo progetto di una nuova via della seta verso il Medio Oriente.
Ancora tre anni fa si era verificato un episodio analogo a questo. Quanto è grave la situazione oggi e che escalation potrebbe avvenire?
La situazione è molto grave, e va detto che c’è una storia dietro questo episodio. I terroristi musulmani come quelli che hanno colpito sono addestrati e appoggiati da decenni dai servizi pachistani. L’India come sempre accusa il Pakistan di averlo progettato per sollecitare sentimenti anti-indiani, anche se potrebbe trattarsi di un gruppo di terroristi che ha agito di propria iniziativa, cosa che al momento non è dato sapere e probabilmente non si saprà mai.
Perché Islamabad avrebbe voluto questa provocazione anti-indiana?
Perché in questo momento storico è in grosse difficoltà e sarebbe la classica operazione per distrarre l’attenzione.
Quali sono le difficoltà del Pakistan?
Una molto significativa è che Islamabad ha ripreso a dialogare con i talebani, che sono filo-pachistani, mentre Kabul è filo-indiana. Questo ha provocato un livello di tensione fra i due paesi. In questa dinamica è possibile che alcuni gruppi terroristici islamisti abbiano scelto di irritare l’India.
In questo quadro la Cina, che possiede un pezzo del Kashmir e che è sempre più interessata a penetrare in questa regione, che ruolo ha?
In questo momento, in una fase di crescente tensione fra Cina e Stati Uniti, con l’India tradizionalmente neutrale, ma molto più spostata verso gli Usa, il Pakistan ricorda agli indiani che non si possono occupare della Cina, ma di questioni ben più vicine. Gli indiani d’altro canto per decenni hanno visto il Pakistan come una specie di strumento politico della Cina contro l’India stessa.
Che cosa pensa succederà nei prossimi giorni?
Nonostante il ritiro dell’ambasciatore pachistano in India, un segnale pericoloso perché entrambi i paesi possiedono armi nucleari, al momento è difficile pensare che queste tensioni diventino uno scontro militare.
Tornando alla Cina, la sua progettata nuova via della seta troverà un intoppo?
La Cina per il momento sembra che stia a guardare senza immischiarsi, perché avrebbe tutto da perdere a scegliere uno o l’altro dei due paesi, visti i rapporti complicati fra Cina e India, dove senz’altro la retorica anti-cinese è destinata ad aumentare. Nel complesso questa questione complica ulteriormente la presenza cinese in questa zona.
E gli Stati Uniti? Trump seguirà la sua politica di isolazionismo?
Gli Usa fanno da anni un gioco di equilibrio fra i due paesi e quindi in questo momento staranno cercando di mediare. La Russia ha una tradizione molto filo-indiana, ma al momento anche lei si guarda dal prendere posizione.
L’Unione Europea invece? Ha degli interessi in questa zona?
L’Europa in quanto tale non ha una politica estera, c’è solo la Gran Bretagna che, essendo Pakistan e India due sue ex colonie ha rapporti buoni con entrambi, ma anche lei al momento tace.