E così la giornata del 23 febbraio, che doveva rappresentare una svolta storica nel dramma del Venezuela, è terminata con una repressione durissima del dittatore Maduro, che non solo ha fatto incendiare i pochi camion che erano riusciti a passare il confine con la Colombia, ma ha respinto la massa umana che li accompagnava, presidiato militarmente Caracas e, durante gli scontri che si sono sviluppati, represso duramente i manifestanti con un bilancio di 4 morti. Oltretutto ha rotto le relazioni con la Colombia intimando al personale diplomatico di lasciare il Paese.
Certo la giornata, iniziata sotto i migliori auspici visto che dopo lunghe trattative la marcia degli aiuti umanitari era potuta partire con in testa Guaidó stesso, e continuata con il flop totale della manifestazione musicale indetta dal regime in contrapposizione all’evento “Live Aid Venezuela” promosso dal miliardario inglese Richard Branson, non ha alla fine prodotto il risultato più importante, visto che l’emergenza internazionale si è bloccata e probabilmente Guaidó non potrà rientrare in Venezuela dato che si trova ancora in territorio colombiano.
L’esperienza cubana ha fornito a Maduro un piano che, dal punto di vista strettamente logistico, gli ha permesso riaffermare la sua volontà di non mollare il potere, con tutto il suo entourage impegnato in assetto di guerra o in quello di burla: basti pensare ai finti “buoni propositi” di Diosdado Cabello, capo dell’esercito, arrivato a dichiarare che gli aiuti sarebbero stati accettati senza problemi (cosa poi rivelatasi falsa), o ai proclami guerrieri della vicepresidente Delcy Rodriguez, che in diversi tweet aveva affermato di recarsi in piazza a combattere. Si è arrivati al punto, un classico in vicende come questa, di far circolare la falsa notizia di due morti avvelenati per aver mangiato il cibo degli aiuti presi da un camion assaltato da gente affamata.
Di certo è che la soluzione al dramma venezuelano pare allontanarsi dal territorio della diplomazia per precipitare nell’oblio che ha rappresentato il punto finale di tutti i tentativi diplomatici fino ad ora messi in atto, che alla fine hanno solo permesso a Maduro di prendere tempo .
Di certo, come ha rivelato monsignor Abascal, gesuita venezuelano, ieri in Vaticano, è in atto una manovra diplomatica promossa dal Vaticano stesso. Le trattative sono segrete ma pare che si stia lavorando su una proposta promossa non molto tempo fa dall’entourage di Guaidó durante la sua visita in Italia di due settimane fa: quella di proporre, con l’avvallo di Putin, una fuga a Mosca di Maduro. E’ un’ipotesi circolata ieri durante il simposio organizzato da Papa Francesco sulla questione degli abusi sessuali nella Chiesa e che alcuni inviati all’evento hanno fatto circolare.
La reazione di ieri ha rivelato un regime in pieno isolamento anche interno, sorretto ormai solo da un esercito che però, lentamente ma inesorabilmente, si sta sgretolando nel suo appoggio. Il fatto più importante di ieri è stato il numero non certo esiguo di soldati, una settantina, anche ufficiali, che hanno oltrepassato il confine colombiano per consegnarsi alle autorità e dichiarare fedeltà al governo di Guaidó: però siamo veramente alle ultime speranze di poter trovare una soluzione pacifica al dramma del paese caraibico.
Le manovre di Guaidó hanno alla fine provocato un “casus belli” senza risposta, per ora. Le prossime ore saranno cruciali e c’è da aspettarsi di tutto: la situazione di emergenza viene ormai dichiarata pure dal regime, che non nasconde di aver ricevuto aiuti dalla Russia, ma si permette di bruciare due camion colmi di medicinali. Molti osservatori ritengono ormai inevitabile il bagno di sangue, che pare purtroppo essere l’unica via di uscita possibile ad una situazione che ha largamente superato i limiti della tragedia umana.