La doppia svolta sul fronte Brexit ha avuto delle ripercussioni in Borsa. Come riporta Repubblica, c’è da segnalare il rialzo della sterlina dopo l’offerta di Theresa May di rinviare l’uscita dall’Unione Europea: 1,322 contro il dollaro, 0,859 sull’euro. Carlo Alberto De Casa, chief analyst di ActivTrades, ha commentato: «Sui mercati valutari si respira un certo ottimismo attorno alla sterlina. Gli operatori gradiscono l’ipotesi, sempre più probabile di un rinvio della Brexit. Addirittura, dopo il sostegno dei Labour, nelle ultime ore si è tornato a parlare di un secondo referendum. Questo ha generato nuovi acquisti sul pound, con il cambio euro/sterlina che ha raggiunto in mattinata i minimi da 22 mesi a 0,858. In altre parole, con una sterlina si acquistano oltre 1,16 euro, mentre due mesi fa navigavamo in area 1,11. I valori pre-Brexit restano tuttavia molto lontani, nel 2015 la sterlina arrivò infatti a valere oltre 1,40 euro». (Aggiornamento di Massimo Balsamo)



LA DOPPIA SVOLTA

La doppia svolta nel giro di poche ore: prima Corbyn apre alla possibilità di un secondo referendum Brexit e poi ora la premier May ipotizza un possibile rinvio del divorzio dall’Ue forse di un anno. Lo spettro del no-deal agita più di mezzo Parlamento inglese e così i due gruppi più consistenti a Westminster preparano le acque per delle prossime settimane infuocate: «rinvio breve e limitato della Brexit rispetto alla data prevista del 29 marzo», ha detto oggi alla Camera dei Comuni dopo che l’ala moderata del suo partiti le ha messo pressione dopo i tanti “no” del Primo Ministro sulla possibilità avanzata anche da alcuni leader Ue (Donald Tusk su tutti invitava la Gran Bretagna a ritardare la Brexit fino al 2021 per evitare un no-deal in stile cataclisma). Se anche il “nuovo” accordo della May il 12 marzo prossimo (con nuove regole sul backstop in Irlanda e alcuni piccoli cambiamenti rispetto al primo accordo presentato a gennaio, ndr) dovesse essere bocciato dai Comuni, allora la May chiederà al Parlamento di «esprimersi sulla possibilità di procedere con la Brexit anche senza un accordo con la Ue, oppure di votare a favore di una “breve proroga” dell’Articolo 50. Si tratta di un’ipotesi accolta positivamente dai mercati, come dimostra l’impennata della sterlina registrata dopo le anticipazioni dei media», riporta l’Adnkronos.



PRESSIONI CORBYN-LABOUR, “PRONTI AL SECONDO REFERENDUM”

Esce allo scoperto Jeremy Corbyn, il leader dei Laburisti per la prima volta dall’inizio della vicenda Brexit supera le sue perplessità di vecchio euroscettico di sinistra e apre alla possibilità di un secondo referendum. Come riportato da Il Sole 24 Ore, il numero uno del Labour Party ha formalizzato la decisione di presentare domani un emendamento per chiedere alla Camera dei Comuni sostegno al proprio piano alternativo per una Brexit super soft. Secondo la proposta laburista, il Regno Unito dovrebbe restare nell’unione doganale e avere “un allineamento ravvicinato al mercato unico” europeo. Corbyn ha poi confermato il suo sostegno ad un secondo emendamento che se approvato imporrebbe alla premier May, in caso di bocciatura finale della sua linea entro il 13 marzo, di tornare in Parlamento e di chiedere a Bruxelles lo slittamento. La novità più importante sta però nell’annuncio di essere pronto a sostenere un terzo emendamento favorevole a “un nuovo voto pubblico” sulla Brexit: “In un modo o nell’altro faremo tutto quanto in nostro potere per evitare un no deal o una devastante Brexit Tory basata sull’accordo di Theresa May già bocciato a valanga”, ha detto Corbyn. (agg. di Dario D’Angelo)



MAY INSISTE SU ACCORDO ENTRO 29 MARZO

Dopo che la premier britannica Theresa May aveva nuovamente rinviato il decisivo voto in merito al cosiddetto “backstop” e al confine con l’Irlanda al prossimo 12 marzo, da parte di Bruxelles era arrivata una sorta di apertura col presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, che ha colto la palla al balzo suggerendo che un rinvio della Brexit estendendo dunque l’articolo 50 per evitare l’ipotesi del no-deal, sarebbe una “soluzione razionale”. Ma da Downing Street è arrivata una smentita dato che la May crede ancora di poter evitare questo scenario e continua a ribadire che la Brexit sarà realtà dopo il 29 marzo: “Raggiungere un accordo è alla nostra portata entro quella data” ha aggiunto la premier nel corso del summit tra Ue e Lega Araba a cui è presente lo stesso Tusk, spiegando che il Parlamento britannico è al lavoro e che il 12 marzo si terrà senza ombra di dubbi il voto esiziale sui confini irlandesi che tuttavia sta mettendo in fibrillazione non solo diversi esponenti del suo stesso partito ma anche del Labour. (agg. di R. G. Flore)

LA MAY NON CI STA

Importanti novità emergono dal summit di Sharm in Egitto dove oltre a May e Juncker è presente anche il Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, da sempre il più favorevole ad uno slittamento del divorzio sulla Brexit per scacciare l’ombra di un “no-deal”. «Credo che una proroga sarebbe una soluzione razionale, nella situazione in cui ci troviamo», spiega in conferenza stampa il politico polacco durante il vertice congiunto Lega Araba-Unione Europea ma trova, immediato, la replica piccata della Premier inglese che non ci sta alla proposta avanzata dal Consiglio Ue. «Ogni rinvio è un rinvio che non risolve il problema», spiega la n.1 di Downing Street che però resta con ben poco peso politico in patria e che dunque secondo i vertici Ue farebbe bene a prendere in considerazioni strade alternative onde evitare il prossimo 12 marzo di ritrovarsi “col cerino in mano” e con un no-deal non più reparabile.

MAY RINVIA IL VOTO SULLA BREXIT

L’ha fatto di nuovo: la Premier inglese Theresa May ha rinviato il voto sulla Brexit, per l’ennesima volta dallo scorso gennaio quando l’accordo raggiunto tra il Governo Tory e l’Unione Europea fu bocciato sonoramente dal Parlamento di Westminster. La novità di questa mattina è che i parlamentari inglesi non voteranno sull’accordo per la Brexit «prima del 12 marzo», ovvero diciassette giorni prima della data in cui la Gran Bretagna deve lasciare l’Unione europea secondo lo statuto della Brexit. Si tratta dell’ennesimo slittamento che non fa che esacerbare gli animi tra le diverse componenti politiche inglesi ed europee: è ovvio il motivo di ciò, ovvero il rischio di no-deal ma procrastinare continuamente il giudizio del Parlamento su Brexit (e sullo stesso Governo May) rischia di lasciare il Regno Unito più a pezzi di quanto si creda. Sull’aereo che la portava a Sharm el-Sheikh – dove oggi parteciperà al primo vertice Ue-Lega Araba – la premier May ha detto che «proseguono colloqui positivi con Bruxelles, il divorzio entro il 29 marzo è alla nostra portata».

OGGI VERTICE MAY-JUNCKER IN EGITTO

Il team Tory ancora a fianco del Primo Ministro di Downing Street sarà a Bruxelles giovedì prossimo per provare a trattare ancora una volta su backstop irlandese e ulteriori garanzie da presentare poi in Parlamento inglese per superare lo scoglio dei franchi tiratori e del Labour (già a sua volta scisso in due componenti dopo la fuga degli anti-Corbyn, ndr). «Ci assicureremo che il voto avvenga entro il 12 marzo, siamo ancora in tempo per lasciare l’Unione Europea il 29 marzo ed è quello che abbiamo intenzione di fare» ha spiegato ancora la May, come riporta la Bbc durante il viaggio verso l’Egitto. Tre ministri del governo May – Amber Rudd, David Gauke e Greg Clark – hanno diffuso sabato scorso una nota congiunta dicendo «siamo pronti a sostenere l’estensione delle trattative con l’Unione Europea», rimandando quindi la data di Brexit pur di evitare il no deal. I ministri si “alleano” con i laburisti e rendono così più difficile il rapporto con la May che invece vuole trovare un divorzio “breve” in cui sia garantito un mantenimento del backstop tra le due Irlanda senza però rimanere legati “eccessivamente” all’unione doganale con l’Ue. La Ue intanto, mentre oggi avverrà un vertice tra la Premier May e il Presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker, potrebbe pensare di far slittare la Brexit al 2021: lo riporta il Guardian citando fonti diplomatiche, con la possibilità che darebbe così al Regno Unito una calma maggiore nelle trattative oltre ad un’uscita “morbida” dall’Unione Europea. «L’ipotesi piace molto al presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, e ad altri leader comunitari», spiegano ancora dal Guardian.