Ieri l’aeronautica pakistana ha dichiarato di aver abbattuto due caccia indiani che avevano superato il confine del Kashmir. Il velivolo abbattuto è solo uno, ha risposto New Delhi. La tensione tra i due paesi è subito salita alle stelle. Non esiste al mondo una situazione di conflittualità che dura da così tanto tempo, esattamente dal 1948, quando scoppiò il primo conflitto indo-pachistano nel Kashmir. Particolarmente sanguinosa fu la guerra del 1965, a cui prese parte anche la Cina, terza “padrona” di una parte della regione. Come spiega Carlo Jean, non c’è alcuna possibilità di poter risolvere una volta per tutte la questione, perché “soffiare sui reciproci patriottismi è sempre il metodo migliore per mantenere il potere interno”. Gli scontri che si sono verificati in questi ultimi giorni fanno temere un’escalation, ma – come ha già dichiarato il primo ministro pachistano – entrambi i paesi sono potenze nucleari e un ulteriore aggravamento porterebbe a conseguenze devastanti. Secondo Carlo Jean anche questo conflitto, dopo qualche altra scaramuccia, magari violenta, è destinato a sgonfiarsi.



La situazione in Kashmir è tornata a preoccupare, anche se sono ormai quasi 70 anni che si registrano scontri di questo tipo. Che scenario vede?

India e Pakistan, rispetto all’ultimo scontro armato, nel 1971, sono oggi entrambi due potenze nucleari. E’ questa, oggi, la differenza e c’è una forma di autolimitazione non detta, dovuta al fatto che nessuno vuole usare per primo le armi nucleari.



Proprio per questo motivo il primo ministro pachistano ha invitato l’India a riprendere il dialogo, perché teme che un’escalation possa portare a conseguenze devastanti. Avrà successo?

Sicuramente. Ci saranno altri scontri, bombardamenti aerei, azioni contro i terroristi islamici che hanno provocato questa situazione, ma non credo che nessuno dei due farà un passo più lungo della gamba, anche perché il Pakistan, benché alleato della Cina, si trova in condizioni economiche disastrose e non può certo permettersi una lunga guerra.

Come si spiega questa ostilità che dura da decenni? Come è possibile che non si arrivi a un accordo, visto che entrambi i paesi si sono già spartiti le proprie zone di influenza nel Kashmir?



Una delle modalità con cui il potere cerca di mantenere la coesione interna è il richiamo al patriottismo: funziona benissimo ancora oggi, quindi entrambi i paesi incitano il proprio popolo a odiare l’altro. L’India non potrà mai rinunciare a considerare il Kashmir di sua proprietà, perché quando l’Inghilterra concesse l’indipendenza, qui regnava la dinastia indiana dei Dogra, da oltre cento anni, che fu costretta a lasciare quella parte della regione a maggioranza islamica. Il Pakistan, invece, si sente la potenza protettrice degli islamici del Kashmir e, proprio spingendo sul patriottismo, riesce a mantenere una certa stabilità interna.

Quale dei due paesi spinge di più verso la conflittualità?

Generalmente chi è più portato al conflitto è il Pakistan, che di fatto è una dittatura militare. Qui l’esercito detiene il potere ed è un esercito islamista che appoggia anche i talebani. I servizi segreti pachistani, poi, dominano anche sul potere politico e quindi non possono ritirarsi. E’ un conflitto che può durare secoli, senza arrivare a conclusione, se non con la debellatio, la sconfitta completa di uno dei due. Ma in tal caso la sconfitta sarebbe del Pakistan, molto più debole dell’India.

C’è anche il Kashmir cinese. Che ruolo gioca Pechino nel quadro generale?

La Cina fornisce gli armamenti al Pakistan. Anche gli americani lo fanno, ma la gran parte sono cinesi.

Che cosa stanno facendo i cinesi in questa crisi?

Stanno alla finestra, senza soffiare sul fuoco, non gli converrebbe. Devono evitare ogni scontro con l’India, che possiede missili nucleari in grado di raggiungere Pechino.

(Paolo Vites)