Quando qualcuno, anche dall’Italia, contestava la nomina del giudice pro-Trump (e quindi pro-life) Brett Kavanaugh alla Corte Suprema Usa che avrebbe stravolto gli equilibri interni (dove sta scritto che se ci sono più “liberal” di “conservatori” allora la democrazia e imparzialità è garantita?, ndr) per favorire nuove leggi di restrizioni all’aborto, ecco stravolto conseguenze e “invettive”. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha bocciato la stretta sull’aborto in Louisiana, bloccando la legge che prevede in tutto lo Stato un solo dottore in una sola clinica a disposizione delle donne che vogliono interrompere la gravidanza. La legge che riguarda i cosiddetti “admitting privileges”, ovvero la possibilità dei medici di dare priorità a certe persone nell’ospedale più vicino, ha fatto di nuovo esplodere la polemica nell’America dell’aborto tardivo (legge approvata a New York) e dell’infanticidio legalizzato post aborto fallito (disegno di legge in Virginia e Vermont). Decisivo il voto del presidente della Corte John Roberts, nominato da George W. Bush, che si è schierato con i quattro giudici liberali, “ribaltando” così l’idea per cui con l’amministrazione Trump la Corte Federale più importante degli Stati Uniti fosse troppo spostata su temi “conservatori” (anche se il rispetto della vita dovrebbe essere qualcosa che sottende ben più in là della “mera fede politica”).



L’AMERICA, L’ABORTO TARDIVO E LA CULTURA LIBERAL

Come segnala l’Ansa, la legge della Louisiana bloccata, promulgata nel 2014, è simile a quella del Texas che l’Alta Corte bocciò nel 2016: insomma, i giudici si svegliano più liberal-obamiani questa mattina nonostante due giorni fa nel Discorso sullo Stato dell’Unione Donald Trump avesse ricordato alla platea «Chiedo al Congresso di approvare una legge che proibisca l’aborto di bambini che possono provare dolore nel grembo materno. Cerchiamo di lavorare insieme per costruire una cultura che custodisce la vita innocente». La cultura invece che si sta affermando negli States è sempre più “liberal”, “abortista”, poco pro-life o come diavolo la volete chiamare: nel Congresso l’altro giorno c’erano tutte le senatrici dem vestite di bianco per celebrare la protesta in stile suffragette sulle troppe violenze di genere sulle donne. Tema giustissimo, visto che sottende una richiesta di competo rispetto del diritto umano della dignità di ogni singola persona: ecco che però, solo un giorno prima, le stesse senatrici dem bloccavano una legge-manifesto in cui il Congresso avrebbe ricordato a livello federale che la cultura della vita è ancora il punto più importante tra i diritti civili. L’aborto invece viene ancora oggi nel 2019 visto come un “manifesto femminista” per ricordare l’assoluta libertà della donna, a discapito di quella indifesa del figlio: l’aborto “tardivo” della legge di New York che permette l’interruzione di gravidanza in pratica fino al parto è solo l’ultimo caso di una larga “reazione” alla Presidenza Trump, impegnato nelle battaglie pro-life, che si denota in tanti Stati federali. Siamo di nuovo tornati allo scontro-battaglia di civiltà? Forse, ma di certo passi indietro sul riconoscimento del valore di vita e persona in alcuni Stati Usa ce ne sono stati: e questa non è mai una bella notizia.

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