“Attacchi senza precedenti dalla fine della guerra” e “dichiarazioni oltraggiose” da parte del governo italiano: con queste durissime parole la Francia ha ritirato il proprio ambasciatore a Roma per consultazioni. In effetti, conferma Francesco De Remigis, corrispondente da Parigi del Giornale, un dissidio del genere non succedeva tra paesi dell’Unione da allora: “E’ evidente che ci sono nervi scoperti tra i due paesi ormai da tempo e che alla luce delle elezioni europee salgono ancor più alla ribalta”. In questo quadro Macron continua a essere messo alla corde dai movimenti di protesta interni, tanto che, sebbene non ancora annunciato ufficialmente, il presidente francese intende sottoporre i suoi cittadini a un referendum in concomitanza con il voto per il Parlamento europeo del 26 maggio. Sempre secondo De Remigis, si tratta del tentativo del presidente francese di venire incontro alle istanze del movimento dei gilet gialli per cercare di arginare una protesta che dura ormai da dodici settimane. Ma potrebbe trasformarsi in un’arma a doppio taglio, come i recenti referendum della Brexit o quello voluto da Matteo Renzi sulla riforma costituzionale hanno dimostrato.
Il richiamo in patria dell’ambasciatore francese dall’Italia è un precedente che non accadeva dalla fine della Seconda guerra mondiale. Cosa significa?
La nota del Quai d’Orsay ha usato parole forti, siamo davanti a un’escalation evidente. A gennaio era stato convocato l’ambasciatore italiano a Parigi, oggi la situazione si è decisamente aggravata. Ci sono dei nervi scoperti su cui Francia e Italia fanno fatica a confrontarsi e alla vigilia delle elezioni europee si prestano a strumentalizzazioni politiche da tutte e due le parti.
Dai toni del comunicato del governo francese sembra che a irritare Macron sia stata soprattutto la recente visita di Di Maio e Di Battista a Parigi per incontrare uno dei leader dei gilet gialli, in vista di una possibile alleanza, che il governo francese ha definito come ingerenza politica. E’ così?
Su questo punto c’è stato l’intervento di Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri dei 5 Stelle, che ha risposto con un “bisognerebbe chiedere a Macron della sua sindrome di persecuzione”, aggiungendo poi che “non si capisce come lui possa fare aperture a Renzi, al Pd o a +Europa, e noi non possiamo incontrare un movimento che sta convergendo su una proposta europea”.
Traducendo queste parole dal politichese che cosa se ne trae?
Vuol dire che la ricerca di contatti da parte del M5s più che un’ingerenza politica è una necessità impellente.
Quale?
E’ il bisogno di formare un nuovo gruppo nel Parlamento europeo, ma a tale scopo servono sei partiti di sei diversi paesi. La Le Pen è prenotata dalla Lega, ai 5 Stelle resterebbero i gilet gialli. C’è però un problema francese: sono già tre le liste che fanno riferimento ai gilet gialli. Ma si sa, sotto campagna elettorale ognuno tira acqua al proprio mulino.
Che sviluppi prevede per questa crisi?
Ritengo ci siano le condizioni o quantomeno la necessità di un riavvicinamento. Salvini ha dichiarato che è pronto a incontrare Macron e non vuole litigare con nessuno, al tempo stesso ha confermato di voler difendere gli interessi degli italiani, ribadendo con i numeri quali siano le responsabilità della Francia: 60mila respingimenti di migranti dal 2017 a oggi, con donne e bambini abbandonati nei boschi. Da una parte è conciliante, dall’altra elenca una serie di questioni, scoperte da tempo, su cui diventa difficile lavorare prima delle elezioni. Salvini ha aggiunto che non si possono più danneggiare i nostri pendolari, vessati da controlli alla frontiera francese che durano ore, e questo è un altro punto irrisolto da tempo. Sarà difficile affrontare questi nodi prima delle elezioni. Per quanto riguarda invece una rimodulazione dei toni e un riavvicinamento delle diplomazie è più probabile che possa accadere presto.
Intanto Macron continua ad avere grossi problemi interni. La stampa francese ha annunciato la sua idea di indire un referendum, chiamando i francesi a pronunciarsi su temi come il funzionamento delle istituzioni e la partecipazione popolare alla vita politica. E’ un progetto che può diventare concreto?
Il referendum è realmente allo studio e sarebbe pronto per essere indetto, lo ha dichiarato il ministero dell’Interno, spiegando che, una volta formalizzato dal presidente, la macchina referendaria sarebbe pronta. Va chiarito che la Costituzione francese prevede diversi tipi di referendum.
Quali?
Il referendum è menzionato in due articoli. Uno, l’articolo 11, è piuttosto denso e prevede che il capo dello Stato possa sottoporre a referendum qualunque progetto di legge se riferito a questi argomenti: organizzazione dell’autorità pubblica, riforma economica, ambientale, servizi pubblici oppure la ratifica di un trattato internazionale. In questo contesto l’esecutivo deve fare una dichiarazione, seguita da un dibattito sia al Senato che alla Camera, anche se non ha necessariamente bisogno della loro autorizzazione.
L’altro caso?
Si tratta dell’articolo 89, che riguarda la revisione della Costituzione, essa stessa sottoposta a referendum. In questo caso il progetto deve essere votato dalle Camere, per cui serve un accordo. Macron non ha ancora chiarito quale via intende percorrere: l’unica cosa certa è la data concomitante con le elezioni europee.
Alcuni temi del referendum riguarderebbero la riduzione del numero dei parlamentari e il divieto di cumulo delle cariche politiche. Si dice anche che tra i quesiti referendari potrebbero rientrare anche la maggior partecipazione della società civile alle politiche pubbliche e l’iscrizione nella Costituzione del principio della partecipazione dei cittadini…
In realtà, è una via di mezzo. Da una parte, c’è l’interesse di Macron a mostrarsi attento ad alcune delle rivendicazioni dei gilet gialli, ma anche di buona parte della popolazione francese; dall’altra, c’è la risposta effettiva ad alcune problematiche di rappresentanza, in particolare sulla democrazia partecipativa. Ci saranno, dunque, domande di questo genere. Quello che ha fatto filtrare Macron attraverso i giornali dovrebbe essere la riduzione dei parlamentari, che lo stesso Macron già in campagna elettorale aveva promesso, e il cosiddetto non cumulo dei mandati, un punto su cui in Francia ci si interroga da anni. Questi due sarebbero i quesiti più semplici, che garantirebbero a Macron risposte positive. Ma un referendum è sempre un rischio, come la Brexit, la Grecia e la riforma costituzionale di Renzi hanno dimostrato.
Intende dire che potrebbe essere un voto-ghigliottina per Macron?
Anche se le domande fossero favorevoli alle istanze dei gilet gialli, non è detto che le risposte vadano incontro a quello che vuole Macron e che invece impattino negativamente sulla sua immagine. La situazione è ancora molto fluida, la voglia del presidente di andare incontro ad alcune istanze c’è, ma il rischio di una bocciatura in concomitanza con le elezioni europee anche.
Non c’è il rischio che il voto europeo passi in secondo piano?
Il rischio c’è, ma è puramente teorico. Il voto sarà doppio, in caso di referendum, e il rischio si ripercuoterà sulla campagna elettorale, dove i partiti avranno maggiore difficoltà a esprimere i programmi sull’Europa. Va detto che nei sondaggi delle ultime due settimane Macron ha ottenuto un grosso recupero.
Come mai?
Non possiamo parlare di remuntada, ma qualcosa di simile: ha guadagnato sei punti nell’ultimo sondaggio, che si aggiungono ai 5 recuperati a metà gennaio. Oggi sarebbe al 36%, più di quanto aveva prima dell’inizio della crisi.
In un momento di crisi così forte come ha ottenuto questo recupero?
La risposta è semplice e sta negli annunci di Macron, come quello dei 10 miliardi di euro per rafforzare il potere d’acquisto. La politica degli annunci si lega però al rovescio della medaglia: la Corte dei conti fa sapere che queste promesse costano troppo e invita a un maggior controllo della spesa pubblica.
Può aver influito in questa rimonta anche una certa stanchezza del movimento di protesta?
Il sostegno alla mobilitazione ha subìto una flessione così come la presenza nelle piazze. Ciò non toglie che buona parte dei francesi continui a guardare con interesse allo sviluppo di questa crisi e, anzi, gli ultimi sondaggi indicano una ripresa di almeno due punti percentuali dei favorevoli alla protesta, sia da parte di chi scende in piazza, sia da parte di chi la osserva e la sostiene. Il che significa che la politica degli annunci non è stata così ben accolta.
(Paolo Vites)