Il giorno dopo la bocciatura del parlamento britannico all’accordo Brexit strappato dalla May, scopriamo come hanno reagito i mercati azionari di tutto il mondo. Ovviamente c’è un po’ di agitazione, soprattutto nelle borse asiatiche, dove gli scambi sono al ribasso, mentre in Europa e negli Stati Uniti si segnala “debolezza”. In attesa di conoscere l’esito del voto sul “no deal”, in programma oggi, e su un possibile posticipo della deadline della Brexit oltre il 29 marzo, previsto per domani, la sterlina rimane in stand-by, fiduciosa che alla fine Westminster approvi il delay, con probabile nuova scadenza fissata alla fine del mese di maggio. Giacomo Mergoni di Banor Capital, ha commentato la vicenda Brexit da un punto di vista finanziario, ai microfoni di Repubblica: «A questo punto il governo non ha più carte da giocare né alcuna credibilità sul piano domestico né internazionale. Il Parlamento ha ora tutta la responsabilità». Secondo Mergoni, nel caso in cui si dovesse estendere il tempo per l’uscita dall’Ue, sarà necessario capire quanto durerà tale estensione: «Un’estensione breve, di pochi mesi, non darebbe il tempo di compiere sostanziali passi avanti ed il parlamento si troverebbe a ridiscutere l’accordo della May con le mani legate. Un’estensione più lunga, di un anno o più, invece, riaprirebbe tutti gli scenari possibili». Insomma, l’incertezza regna sovrana. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
BREXIT, CAOS DOPO LA BOCCIATURA DEL PARLAMENTO
Caos è la parola associata con maggiore frequenza in queste ore al Regno Unito e alla Brexit. Del resto non poteva essere altrimenti dopo la bocciatura dell’accordo con l’UE da parte del parlamento europeo. 391 hanno votato contro il nuovo deal siglato dalla May a Strasburgo, mentre i favorevoli sono stati solo 242. Ed ora cosa succede? Una domanda a cui neanche un indovino saprebbe rispondere anche se sostanzialmente sembrerebbero tre gli scenari plausibili, a cominciare da quello più quotato, ovvero, una posticipazione del termine di uscita attualmente datato 29 marzo, fra meno di venti giorni. Ma prendere tempo rischierebbe solamente di posticipare l’inevitabile, e di conseguenza, è tornata in voga l’idea di un secondo referendum sulla Brexit, ma anche in questo caso si rischierebbe di essere punto a capo se il popolo inglese confermasse la volontà di uscire. Quindi la terza via, quella di elezioni anticipate, invocate dal leader laburista Corbyn nella serata di ieri: ma un nuovo Premier riuscirebbe a strappare un accordo migliore rispetto alla May alla luce della netta chiusura dell’Ue? Intanto oggi si voterà per il “no deal”, scenario al momento quasi apocalittico, ma se non è già apocalisse in Gran Bretagna, poco ci manca… (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
BREXIT, PARLAMENTO BOCCIA L’ACCORDO DELLA MAY
Caos in Gran Bretagna: il Parlamento ha bocciato per la seconda volta il voto sull’accordo sulla Brexit raggiunto tra l’Unione Europea e Theresa May. Una batosta per la premier, che lascia aperta ogni ipotesi sul futuro del suo esecutivo. Jeremy Corbyn ha invocato il ritorno alle urne, con il negoziatore di Bruxelles Michel Barnier che ha commentato su Twitter: «L’impasse può essere risolto solo in Gran Bretagna, i nostri preparativi per un no-deal ora sono più importanti che mai», ribadendo che «Bruxelles ha fatto tutto il possibile». «Un fallimento totale della leadership di Theresa May» il giudizio di Nigel Farage, mentre il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha commentato: «Se ci sarà una richiesta ragionata da parte della Gran Bretagna per un’uscita posticipata, i 27 Paesi dell’Ue la valuteranno e decideranno all’unanimità. L’Ue si aspetta una giustificazione credibile per una possibile estensione della permanenza e della sua durata». E la sterlina crolla… (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
PARLAMENTO BOCCIA ACCORDO MAY-UE
«E’ tempo di approvare l’accordo, è tempo di andare avanti», aveva detto pochi minuti prima del voto decisivo sulla Brexit la Premier May: ebbene, il Parlamento ha deciso di ricacciare indietro il suo ultimo accordo, mesi di trattative “inutili” rimandando di fatto tutto al punto di partenza, il giorno dopo quel referendum consultivo che diede la vittoria (di poco) ai “divorzisti” con l’Unione Europea. Il Parlamento poco dopo le 20.20 ha bocciato sonoramente l’accordo di divorzio tra Ue e Premier Tory per la seconda volta nel giro di 3 mesi: i deputati a favore sono stati 242, quelli contrari 391. Lo scarto è stato di 149 voti, nettamente inferiore rispetto ai meno 230 del primo tentativo di gennaio ma il fallimento resta comunque tale. Poco dopo il voto, in un Parlamento di Westminster quasi una bolgia, la Premier May ha confermato di essere assolutamente contraria al no-deal e domani tornerà alla Camera dei Comuni per mettere ai voti una mozione ‘no deal sì o no deal no. Come riporta Sky Tg24, «La premier ha aggiunto che lascerà libertà di voto al gruppo Tory, ma che lei resta contraria a un no deal e convinta che esista “una maggioranza a favore di un accordo”». Il leader del Labour Jeremy Corbyn «il piano May è morto, forse dovremmo andare al voto». Londra è nel caos, probabilmente domani la May potrebbe chiedere col rinvio breve della scadenza fissata il 29 marzo prossimo: «Un rinvio – ha precisato ancora la May – che può essere ottenuto solo se il Parlamento indicherà una strada».
CAOS IN BORSA
Brexit, Camera dei Comuni vota l’intesa raggiunta tra Theresa May e l’Unione Europea, tutto lascia presagire una clamorosa bocciatura. Grande tensione nel Regno Unito per uno dei crocevia fondamentali per il futuro del Paese, tensione registrata anche in Borsa: come riporta Il Sole 24 Ore, le Borse sono “appese” alla Brexit, con Londra che sale. Listini europei nervosi ma nonostante ciò quello della City chiude in rialzo. Piazza Affari in lieve calo con il -0,03 per cento, mentre Telecom Italia sprofonda: -5,9 per cento, un crollo dovuto alle difficoltà incontrate da tutto il settore in Europa ma soprattutto i continui scontri tra soci. Tornando a Londra, tengono banco le parole del procuratore generale Geoffrey Cox sul rischio legale del backstop: l’accordo sul divorzio non ha dato alla Gran Bretagna i mezzi legali per uscire unilateralmente dal backstop qualora sorgessero differenze non trattabili. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
BREXIT, ALL-IN DI THERESA MAY
O tutto o niente: è profondo “all-in” quello lanciato dalla Premier May poco fa in Parlamento in attesa del voto sulla Brexit che questa sera dirà Sì o No all’accordo siglato nella scorsa notte tra il Governo del Regno Unito e l’Unione Europea, modificando in alcuni punti il primo patto sul divorzio dall’Europa già bocciato da Westminster lo scorso gennaio. «L’accordo sulla Brexit è stato migliorato e offre garanzie legalmente vincolanti sul backstop» (ovvero il vincolo voluto dall’Ue per eliminare ogni possibile rischio di confine “duro” e “fisico” tra Irlanda del Nord e Irlanda) spiega la Premier rivolgendosi praticamente afona alla Camera dei Comuni in apertura del dibattito sul secondo voto di ratifica della Brexit. L’invito della May, in appello semi-disperato, è rivolto a tutti i parlamentari: «L’alternativa è fra questo accordo e il rischio che la Brexit vada perduta», ovvero il tanto spettrale rischio di no-deal. Nella nottata di ieri sembrava “fatta” dopo l’ok di Juncker ad una modifica sostanziale del nodo backstop: «Avere una polizza assicurativa – il commento della stessa May dopo il nuovo accordo – per evitare una frontiera fisica in Irlanda è positivo. L’inserimento di modifiche legalmente vincolanti è esattamente ciò che il Parlamento ci aveva chiesto. Il backstop, se mai entrerà in vigore, non può diventare un accordo permanente, è solo temporaneo». Poi però oggi qualcosa è cambiato e ora si rischia la debacle completa a Westminster.
FALCHI TORY-DUP VOTANO CONTRO LA MAY
Di fatto è avvenuto semplicemente che quell’accordo è stato letto e valutato dai parlamentari e dallo stesso Governo – tutt’altro che unito, con le varie correnti Tory che da mesi non fanno che discutere sulle diverse modalità di interpretare e presentare la Brexit – con conclusioni diametralmente opposte. Dalla leader unionista nordirlandese Arlene Foster è arrivata la prima bocciatura secca del secondo accordo tra Ue e Uk, ma la batosta definitiva è giunta dal procuratore generale Geoffrey Cox (Tory) che aprendo le discussioni in Parlamento ha spiegato «le intese raggiunte ieri da Theresa May sono legalmente vincolanti e riducono il rischio che il Regno Unito possa essere trattenuto indefinitamente e involontariamente nel meccanismo del backstop, ma non lo eliminano del tutto». A quel punto l’European Research Group, ovvero il gruppo dei deputati Tory più “brexiters” ed euroscettici, ha invitato tutti i propri aderenti a non votare l’accordo siglato dalla May neppure con le ultime modifiche concordata ieri notte: «Alla luce della nostra analisi legale e altre non consigliamo di accogliere la mozione del governo oggi», seguendo di fatto la scelta del DUP di votare “con” il Labour contro la propria stessa Premier di Governo. La partita è aperta ma per la May il rischio fortissimo di un ennesimo fallimento, salvo rinvii o colpi di coda in extremis, è assai vicino: in caso di ko si dovrebbe passare al voto di domani 13 marzo sul bivio fra un’uscita con o senza accordo. In ultima analisi, in caso di preferenza di Westminster a un’uscita con accordo, il 14 marzo sarà il turno di un voto a favore o contro il rinvio dell’uscita oltre la scadenza attuale (fissato per il 29 marzo 2019). Ma il se è sempre d’obbligo in queste infinita “telenovela” inglese che interessa un po’ tutta l’Europa.