Il 22 novembre 2017 si ricorderà sempre per la condanna all’ergastolo di Ratko Mladic, mentre il 20 marzo 2019 verrà ricordato per la medesima condanna di Radovan Karadzic: il leader serbo-bosniaco è stato condannato dal Tribunale internazionale per i crimini compiuti nella Ex Jugoslavia, specie nel massacro-genocidio di Srebrenica. Il leader politico era corso in appello dopo la condanna a 40 anni comminata in Primo Grado ma oggi la Corte ha aumentato la pena per tutti i crimini commessi. Genocidio di Srebrenica, assedio e bombardamenti su Sarajevo e tutte le atrocità commesse durante la guerra in Bosnia tra il 1992 e il 1995: il Tribunale ha però ribadito, come in Primo Grado, che che l’ex leader politico dei serbi di Bosnia «non è responsabile di ‘genocidio’ in altri sette Comuni bosniaci». Karadzic è stato latitante dal 1996 al 2008 quando venne catturato a Belgrado, dando il là finalmente al processo sugli immagini crimini di “guerra” compiuti nell’ultimo decennio del Novecento. Pulizia etnica, omicidi di massa, esecuzioni politiche: Karadzic e il generale Mladic furono protagonisti di una delle più grandi “macchie” della storia europea dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, per di più “permesso” da truppe dell’Onu olandesi per la gravissima mancanza di responsabilità e connivenza al genocidio.



IL GENOCIDIO DI SREBRENICA

Correva l’anno 1995, era luglio e faceva un caldo insostenibile in quella tremenda ex Jugoslavia lacerata dalla guerra tra etnie: in quella che passò poi alla storia come il “genocidio di Srebrenica”, circa 8mila bosniaci musulmani innocenti furono massacrati dal gruppo paramilitare degli “Scorpioni”, uno degli eccidi più efferati della storia avvenuto in pochissime ore. Tutti i maschi dai 12 ai 77 anni furono separati dalle donne, dai bambini e dagli anziani, in un primo momento con la “scusa” per essere interrogati; in realtà vennero uccisi e sepolti in fosse comuni. L’orrore i quel eccidio fu aumentato da quello che aveva preceduto quel crimine immane: a Srebrenica i bosniaci musulmani erano giunti perché inseguiti dal generale Mladic e proprio da Karadzic. Pensavano di essere protetti nell’enclave di Potocari visto che era sotto l’egida delle truppe Onu in quel periodo con comando affidato all’Olanda: invece i caschi blu, vigliaccamente, si ritirano e “voltarono la testa” davanti all’imminente terrore scatenato dal condannato oggi all’ergastolo. Dopo i primi anni del conflitto, l’intervento delle Nazioni Unite aveva deciso di limitare alcune aree in Bosnia e Serbia per proteggere la popolazione inerme e innocente dagli attacchi e le bombe dei vari eserciti in lotta. La zona protetta di Srebrenica fu delimitata dopo un’offensiva serba del 1993 che obbligò le forze bosniache ad una demilitarizzazione sotto controllo delle Nazioni Unite, in questo caso con presenza di truppe olandesi. Le delimitazioni delle zone protette furono stabilite a tutela e difesa della popolazione civile bosniaca, quasi completamente musulmana, costretta a fuggire dal circostante territorio, ormai occupato dall’esercito serbo-bosniaco.

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