Proprio mentre sia l’Onu (alleluja!) che l’Osa (l’Organizzazione degli Stati americani) avevano denunciato la gravità della situazione dei diritti umani in Venezuela, ecco che Maduro ha reagito con un classico della violenza, confermando quanto sostenuto dalle due organizzazioni. Con una manovra di forza, un assalto che ricorda quello di cui fu vittima anni fa l’allora sindaco di Caracas, Antonio Ledezma, il Sebin, il servizio Bolivariano di intelligence, ha arrestato il capo gabinetto del Presidente ad Interim Juan Guaidó, l’avvocato Roberto Marrero.
L’accusa? Detenzione di armi: proprio mercoledì scorso, nel corso di una sua denuncia all’Onu, l’Alto Commissario per i Diritti Umani, l’ex Presidente del Cile Michelle Bachelet, aveva descritto la prassi dell’introduzione di armi nelle case dei dissidenti o membri dell’opposizione come una pratica di repressione.
Con questa manovra il regime del dittatore Maduro ha in effetti lanciato un’ulteriore provocazione, proprio nel momento nel quale l’opposizione è in procinto di organizzare manifestazioni di protesta massicce in tutto il Paese contro il blackout energetico che affligge l’intero Venezuela. Ormai non solo l’energia elettrica, ma anche la benzina e l’acqua scarseggiano ed è piuttosto frequente trovare gente che ormai si rifornisce di acqua nei canali, ovviamente con tutti i rischi che ciò comporta a causa dell’inquinamento.
Insomma, da parte del regime di dialogo ancora non si parla: secondo quanto riportato da alcuni media latinoamericani, ci sarebbe addirittura un piano per trasferire istituzioni nevralgiche per il Paese da Caracas in una zona più a sud-ovest in modo da poter utilizzare sia l’Atlantico che l’Orinoco come eventuali vie di fuga. Questo piano sarebbe stato messo in atto dalle forze di intelligence cubane che sono presenti in diversi settori delle istituzioni del Venezuela: da ciò si capisce come la situazione stia arrivando a quel limite oltre il quale, come già descritto in articoli precedenti, si inizierà quel cambiamento che tutti si augurano pacifico.
In primis Guaidó, che ha vivacemente protestato dopo l’arresto del suo collega, così come l’Assemblea Nazionale e il Partito di Voluntad Popular, al quale appartengono sia Guaidó che Marrero. “Quest’azione dimostra ancora una volta la debolezza del regime a sole 24 ore della sua denuncia presso la Commissione dei Diritti Umani dell’Onu, che ha illustrato ulteriormente al mondo la natura crudele e criminale della dittatura di Nicolas Maduro”, denuncia un comunicato emesso giovedì che continua “da parte di Voluntad Popular vogliamo una soluzione pacifica alla crisi, i cui responsabili vivono ormai trincerati a Miraflores (sede del potere ndr.) impartendo ordini e contrordini, visto che sono divisi tra loro stessi “.
L’arresto di Marrero fa seguito ad altre manovre del regime, attuate subito dopo il rientro di Guaidó in Venezuela, dopo un suo viaggio in vari paesi dell’America Latina per raccogliere consensi. Si è cominciato con l’arresto e le torture subite da due giornalisti stranieri (uno polacco e uno tedesco) e del loro collega venezuelano Luis Carlos Diaz, quest’ultimo accusato addirittura di essere tra gli istigatori del blackout elettrico iniziato due settimane fa. Ora è il turno di Marrero e dell’ennesima messa in scena di un regime che è ormai alle corde e al suo lento, ma inarrestabile, tramonto.