Era per l’appunto il 24 marzo 1999 quando la Nato sganciò i primi missili e raid aerei su Belgrado contro la Jugoslavia (Serbia-Montenegro) in quella ricordata nella storia come la Guerra del Kosovo: 78 lunghi giorni in cui per la prima volta senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza Onu venne presa una durissima decisione che arrivò al termine di ogni possibile sforzo diplomatico fallito per far terminare le repressioni dell’allora presidente serbo Slobodan Milosevic. Belgrado venne rasa al suolo per la sua gran parte degli edifici e ancora oggi, 20 anni dopo, si intravedono gli inquietanti e sinistri scenari di quella tremenda scarica di raid. Il tutto si concluse il 9 giugno con l‘accordo di Kumanovo (in Macedonia): si prevedeva il ritiro dal Kosovo delle truppe serbe e l’arrivo di oltre 37 mila militari della Kfor, la Forza Nato presente in Kosovo ancora oggi con 5 mila uomini. Ancora oggi non si sa quante vittime fecero quei raid – si parla dai 1200 ai 2500 morti – a cui partecipò anche l’Italia all’epoca guidata dal premier D’Alema: i bombardamenti con i jet partivano da portaerei in Adriatico e basi Nato in Italia e ancora oggi viene ricordato come uno dei massacri sanguinosi più imponenti della storia recente europea. Dopo gli anni tremendi delle guerre balcaniche (il dramma di Srebrenica e non solo), la Nato decise di porre fine al regime di Milosevic ma con uno conto delle vittime purtroppo altissimo.



I GUAI DELLA SERBIA OGGI

«L’intervento della Nato è una serie di crimini commessi contro il nostro popolo e i nostri figli», ha spiegato il Premier della Serbia Alexsandr Vukic, protagonista in negativo per le tantissime manifestazioni che da settimane proseguono a Belgrado contro la sua gestione del potere. Dal Kosovo invece vanno in scena le commemorazioni per la liberazione dalla dominazione serba, mai del tutto risolta (Belgrado ancora oggi non riconosce la piccola Repubblica sorta dopo la guerra del 1999): «il 24 marzo 1999 fu il punto di partenza per fermare il genocidio e far tornare la speranza della libertà e dell’indipendenza nel nostro Paese», ha detto da Pristina il presidente Thaci. I bombardamenti della Nato durarono per 78 giorni consecutivi, mentre il Kosovo proclamò l’indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008. La protesta però non si placa, con tutti i Balcani sempre più pericolosamente “seduti su carboni ardenti”: in una sorta di “riedizione” dei Gilet Gialli francesi, in Serbia i cittadini protestano contro il presidente Vucic per chiedere diritti e riforme in un Paese in cui ogni anno circa 30mila giovani laureati e diplomati emigrano in cerca di un futuro migliore, spiega l’Ansa. Proprio oggi, segnala Tg Com24, i capi della protesta hanno detto che «se le dimissioni non arriveranno entro il 13 aprile, quel giorno scenderà in piazza la Serbia intera»..

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