Il parlamento inglese ieri ha messo ai voti 8 proposte diverse per risolvere la questione Brexit dopo la seconda bocciatura dell’accordo di Theresa May. Il primo ministro inglese ieri aveva anche offerto le proprie dimissioni in un disperato tentativo di ottenere i voti necessari all’approvazione del suo accordo. Delle otto votazioni, tutte respinte, segnaliamo la mancata approvazione di una “soft Brexit” per appena 8 voti e quella di un secondo referendum per 27 voti con esattamente 27 membri del Labour a esprimere un voto contrario. Dopo questo fallimento, nessuno sa cosa accadrà a tre anni dal voto. Il prossimo appuntamento sarebbe per lunedì prossimo, ma non è affatto chiaro quale proposta verrà messa ai voti e se l’accordo di Theresa May verrà in qualche modo “resuscitato”.
L’impressione è quella di caos assoluto e di uno spettacolo abbastanza desolante. In questo scenario forse conviene ribadire alcuni punti che rimangono fermi. È abbastanza chiaro che si stia ponendo una scelta tra la “sconfessione” del referendum, con tutte le conseguenze politiche del caso, e una Brexit a qualunque costo e in qualunque modo. Su questo punto – un secondo referendum – siamo fermi ai 295 contrari, inclusi 27 parlamentari labour, e 268 favorevoli di ieri. Forse avrebbe senso rimettere ai voti la “soft Brexit”, scusateci per la pessima definizione, ma ci sono ancora troppe variabili: inclusa quella, sempre importantissima in queste fasi, di quale quesito verrà proposto per primo e di chi controlla l’agenda dei lavori. Su questo ultimo punto, la “soft Brexit”, si ripropone la questione di rispettare o meno l’esito del referendum. È chiaro a tutti che la scelta è politicamente molto problematica; non si può fare finta che chi vuole un secondo referendum non sia parte in causa.
Poi rimane la questione di fondo della Brexit. Una decisione che si misura in un arco temporale molto lungo e che sostanzialmente è una scommessa contro l’Unione Europea. La Brexit funziona, per gli inglesi, se l’Europa si frantuma, altrimenti, nella migliore delle ipotesi, è un salto nel buio.
Infine ci sarebbe da chiedersi cosa voglia l’Europa o, più precisamente, cosa vogliano Francia e Germania. Nell’attuale traiettoria europea, con i parlamenti francese e tedesco che si riuniscono e poi danno le carte, l’uscita della Gran Bretagna sembra decisamente funzionale all’attuale equilibrio europeo, quello del dominio franco-tedesco. Questo è abbastanza chiaro e non aiuta il processo di uscita ordinata. Nel frattempo il tempo passa e il caos continua.