La legittima difesa è legge. Per quanto mi riguarda, una buona notizia: sono per il modello svizzero per quel che concerne la tutela della proprietà privata, da sempre. Già, perché si scorda troppo spesso – chissà come mai – come non servano sei ore di volo e l’approdo negli Usa per trovare un Paese dove oltre un terzo abbondante dei cittadini è legalmente armato, i crimini sono bassissimi e, contestualmente, non si registrano stragi quotidiane in licei e campus universitari oppure episodi di pazzi che sparacchiano a caso alla cassa del Migros. Il tutto, a 40 minuti di automobile da Milano. Non in Alabama o Illinois.



Ovviamente, qui da noi infuriano le polemiche. Immagino che chi è contrario al provvedimento si attaccherà soprattutto al cosiddetto “grave turbamento emotivo”, ovvero al carattere ulteriormente attenuante che lo stato di stress patito da chi si trova in casa uno sconosciuto alle 3 del mattino – qualcuno obietta che potrebbe “essersi perso”! – deve affrontare. Sapete chi altro ha non solo un’attenuante comportamentale, ma anche il diritto di sparare per uccidere benedetto dallo Stato, in caso si trovi in condizione di grave pericolo (facilmente declinabile in turbamento anche dall’ultimo avvocato d’ufficio) durante una manifestazione pubblica, in nome della suprema sicurezza nazionale? I poliziotti francesi. E non da sempre, bensì grazie al pacchetto sicurezza approvato dal governo dopo i vandalismi sugli Champs-Elyseés di due settimane fa. E signori, non sparare proiettili di gomma, come quelli usati finora, i famigerati LBD40: quelli di piombo.



Eh già, la polizia può sparare sui manifestanti in Francia. Spero ovviamente che non lo faccia mai, ma resta il fatto che lo stato di emergenza post-Bataclan revocato da Emmanuel Macron in forma ufficiale sia tornato in vigore, rientrando dalla finestra. E grazie unicamente e totalmente ai “gilet gialli”, i quali ovviamente al 90% non sono responsabili, né probabilmente d’accordo con i vandalismi e la violenza in generale. Ma resta il fatto che non hanno fatto nulla di concreto per evitarla: quando i black bloc esagerano in Italia e il rischio di infiltrazione salì, come accaduto con la manifestazione del Pd a Firenze di qualche anno fa, ci si organizzò con un servizio d’ordine serio. Per capirci, camalli di Genova e Livorno in prima fila. E, magicamente, non accade nulla. Perché da neri, i black bloc sarebbero diventati viola di lividi, se solo si fossero avvicinati. In Francia, invece, si è voluto fare i furbi. Da più parti, operare borderline. Peccato che a vincere la guerra, come dico dall’inizio, sia stato Emmanuel Macron.



Oggi si tornerà in piazza per il 20mo sabato di protesta, ancora con gli Champs-Elyseés interdetti alle manifestazioni. Ma poco importa cosa accadrà, poco importa anche quale sarà il livello di partecipazione. Conta solo questo, ovvero la riprova statistico-demoscopica del fallimento dell’esperimento populista. O, volendo gettarsi un po’ sul dietrologico e sposando la teoria della sua etero-direzione fin dalla strana nascita su Facebook, il suo trionfo in nome e per conto dello status quo.

Questo sondaggio è stato pubblicato giovedì dal principale quotidiano economico-finanziario francese, Les Echos, e mostra le intenzioni di voto alle europee. Due avvertenze. Primo, è stato condotto tra il 17 e il 25 gennaio scorso. Ovvero, prima delle devastazioni parigine e della stretta del Governo sulle manifestazioni. Secondo, chiede in maniera secca cosa si intenderebbe votare, se l’appuntamento con le urne fosse la domenica successiva. Come vedete, un testa a testa fra il partito di Macron e quello della Le Pen, perfettamente appaiati al 23% dei consensi. Il terzo incomodo più vicino sono i Repubblicani, staccati di oltre 10 punti. La sinistra istituzionale, più o meno estrema? Pulviscolo, roba che in confronto il Pd nostrano pare il Labour di Tony Blair al primo mandato. Ma Emmanuel Macron non era destinato a morte politica certa per mano dei “gilet gialli” e della rabbia popolare, l’ondata di democrazia dal bassa non avrebbe dovuto regalarci un altro 1789, magari un po’ meno cruento? Se sì, come mai il suo partito è primo al 23% in vista delle europee, oltretutto in base a un sondaggio condotto prima delle scene di guerriglia che hanno fatto indignare mezza Francia, anche quella parte di Paese che fino ad allora solidarizzava con i manifestanti?

Certo, qualche sovranista incapace di ammettere la realtà potrebbe dire che il fronte anti-Ue e nazionalista vedrebbe magari uniti i voti della Le Pen con il 3% di cui sono accreditati i Patriotes del fuoriuscito Florian Philippot, arrivando al 26% e scavalcando Macron. Me lo aspetto, l’asticella del ridicolo ormai è tremendamente soggetta a continue rotture di record al rialzo in questo Paese. Ma a me interessa altro, ovvero l’ultima voce, non a caso denominata in giallo nella tabella demoscopica: autres, altri. Di fatto, la galassia impazzita come una maionese dei “gilet gialli”. Sono al 3%. Per entrare all’Europarlamento, dove vige il proporzionale con sbarramento, serve il 4%.

Cosa vi avevo detto, tante settimane fa? Alla fine, chi ci ha guadagnato da 20 sabati di disagi, danni all’economia, paralisi di intere città, scontri con feriti (anche gravi) e devastazioni? Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Ovvero, ciò che lo status quo francese vuole che si perpetui in eterno fin dai tempi del Front National di Jean-Marie Le Pen, il padre della pasionaria: la vittoria di chiunque rappresenti la République contro i barbari, i fascisti, gli impresentabili, i traditori di liberté, égalité, fraternité. Certo, di fronte a noi ci sono elezioni per il rinnovo delle istituzioni europee, non una corsa a due per l’Eliseo. Ma parliamoci chiaro: tutti gli osservatori politici e non solo da settimane dipingono l’appuntamento elettorale di fine maggio in Francia come un referendum sulla presidenza Macron, giunta a metà mandato. E quasi tutti, avevano già recitato il de profundis in sua prece. E adesso? Davvero il presidente, per mesi interi in continuo e strutturale calo di consensi anche negli strati sociali a lui più vicini, vedasi gli impietosi giudizi giunti dalla Confindustria francese, ha perso?

E qui, attenzione, non siamo di fronte a un fenomeno come quello dei 5 Stelle, i quali sono primo partito in Basilicata, nonostante siano usciti con le ossa rotte dalle regionali, se si paragona il dato di domenica scorsa con quello del 4 marzo. Emmanuel Macron è diventato presidente con una maggioranza ridicola fin da principio e con un partito di plastica, creato unicamente per sostenere la sua corsa all’Eliseo, sponsorizzata da poteri che necessitavano di un outsider, un underdog, non potendo contare né sui socialisti devastati del tutto dalla disastrosa presidenza Hollande, né sui gollisti divisi in mille rivoli e dilaniati da lotte fratricide (e un po’ suicide, se si pensa al risultato raccolto da François Fillon al primo turno). Certo, occorre sempre una cautela di base, visto che si tratta unicamente di un sondaggio. Ma dopo le cantonate prese su Brexit e presidenziali Usa, occorre ammettere che le rilevazioni demoscopiche si sono fatte decisamente più precise. E le sorprese sono diventate molto più rare. E, sempre in base ai sondaggi, prima del Natale scorso, il fantomatico e in fieri “Partito dei gilet gialli” era accreditato fra il 12% e il 15%, in base agli assetti organizzativi e alle adesioni che avrebbe ricevuto (per capirci, con o senza all’interno l’ala più oltranzista del movimento): oggi fa parte della voce autres, altri. E gongola attorno al 3%, con un +Europa qualsiasi.

E i Verdi, visto che dalla Germania del boom elettorale fino all’America di Alexandria Ocasio-Cortez e passando per l’onnipresenza quasi ubiqua delle treccine di Greta, sembrano loro la risposta sia al populismo/sovranismo che allo status quo paludato e connivente delle cosiddette élites? Un 7%, roba da Forza Italia. Nel Paese che, non a caso, è disseminato di centrali nucleari e che se le tiene ben strette, sia a livello di indipendenza energetica che di costo delle bollette, per i cittadini ma soprattutto per le imprese che devono competere con l’estero. Siamo alla replica delle presidenziali del 2017, Macron contro Le Pen. Certo, qui non c’è in campo il fattore “fronte repubblicano” contro i “nipotini di Vichy”, qui è ognun per sé e Dio per tutti: ma cosa potrà accadere da qui a fine maggio, quando anche i francesi andranno alle urne?

Certo, Emmanuel Macron – essendo al potere – è più esposto alle intemperie che gravano sulla testa di chi porta la corona, rispetto a chi a buon gioco nel fare unicamente opposizione, ma il caso Benallà ci ha dimostrato che il presidente sa tramutarsi in teflon, quando serve. E l’epopea dei “gilet gialli”, fra ascesa meteoritica e oblio già in stato avanzato, pare dirci che all’Eliseo non abiti uno sprovveduto come sembrava. Non fosse altro per due elementi: il risultato dei sondaggi e il fatto che, nel turbine di eventi di queste 21 settimane di proteste, Emmanuel Macron ha colto la palla al balzo per fare extra-deficit per altri 10 miliardi, con tanti applausi dalla Commissione Ue.

Inoltre, se davvero arriverà la recessione dura che i dati macro e i segnali finanziari sembrano preannunciare, la Francia avrà strumenti di emergenza pronti per contenere eventuali proteste di piazza, reali. E quei mezzi non saranno stati varati sulla scorta del sangue del Bataclan, ma su richiesta di un’opinione pubblica indignata ed esasperata per le violenze di black bloc e casseurs. Ultimo, i regolatori francesi hanno già fatto alzare i cuscinetti di sicurezza da shock esterni alle loro banche allo 0,25% degli assets totali e la scorsa settimana hanno preannunciato l’ulteriore aumento allo 0,50% nella primavera del 2020. Ma si farà prima, statene certi. Non a caso, l’altro giorno Mario Draghi ha preannunciato mosse per mitigare gli effetti dei tassi negativi per la profittabilità delle banche. Ovvero, prepariamoci a un taglio degli interessi che queste devono pagare alla Bce in forza del -0,40% sui depositi per le proprie riserve in eccesso: dimezzamento? Azzeramento? Comunque sia, sintomo che anche a Francoforte si comincia ad avere paura. E quando si ha paura, nella maggior parte dei casi, si scommette sul sicuro. The devil you know, dicono gli anglosassoni.

In Francia, non a caso, il “politicamente morto” Macron è primo nei sondaggi. Appaiato alla sua ragion d’essere, ovvero quel sovranismo che con le sue urla e le sue chiacchiere senza costrutto rende ogni refolo di buon senso un’intuizione degna del Nobel. Sarà così anche in Italia? Attenti, le analogie sono molte. Più di quelle che possiate pensare.