La Svezia, appoggiata dagli altri Paesi scandinavi, ha proposto un tribunale internazionale per giudicare i foreign fighters che sono andati a combattere per l’Isis in Iraq e Siria. L’idea ha del buono, ma difficilmente sarà accettata dagli Stati  Uniti, da sempre allergici ai tribunali internazionali. Gli Usa preferiscono i loro tribunali e le loro pene, compresa quella di morte.



Anche in Europa non tutto è chiaro, compreso il titolo di reato da imputare a chi ha combattuto all’estero. Francia e Regno Unito hanno, insieme al Belgio, i maggiori contingenti europei di foreign fighters, ma hanno pure legislazioni molto diverse. Il non-detto della proposta è che gli Stati europei non vogliono tanto punire i foreign fighters per reati commessi in un altro continente per una questione di giustizia, ma mettere in condizione di non nuocere persone che potrebbero commettere atti di terrorismo in Europa.



Le questioni giuridiche non sono facili da affrontare. Diversi Paesi europei considerano quello di Assad un regime canaglia, e combattenti per la libertà coloro che tentano di rovesciarlo nelle formazioni appoggiate dagli Stati Uniti, ma terroristi se militano nell’Isis. Come trattare in modo giuridicamente diverso gli uni e gli altri? Che sia vietato combattere all’estero non è certamente ovvio in tutti gli ordinamenti europei. C’è chi lo fa per denaro, con i contractor internazionali. Come punire solo chi lo fa per fede religiosa o idealismo?

Se il vero problema è prevenire attentati in Europa, il tribunale internazionale potrebbe garantire uniformità di giudizio e prevenire l’impressione di sentenze arbitrarie o politiche. Ma l’Europa non terrà comunque queste persone in prigione per sempre. Diversi studi mostrano che la prigione, se raramente de-radicalizza grazie a programmi ad hoc, molto spesso radicalizza. L’islam politico è presente e attivo nelle prigioni europee.



Mettere in prigione chi ha combattuto con l’Isis non sembra sufficiente, né – forse – sempre possibile. La sorveglianza sarebbe necessaria comunque, una volta rilasciato il detenuto, e deve comunque scattare anche prima che il  foreign fighter sia condannato. 

È anche importante ricordare che i foreign fighters sono effettivamente portatori di pericoli, ma non sono gli unici potenziali terroristi. L’Isis  ha da tempo compreso che i foreign fighters sono obiettivi in un certo senso ovvi della sorveglianza e della repressione. Preferisce dunque affidare gli attentati a “insospettabili”, persone non note per i loro contatti con l’Isis e che spesso non sono neppure mai entrate in una moschea radicale. Cerca odiatori da tastiera su Internet, immigrati anche di seconda e terza generazione che esprimono avversione e risentimento nei confronti dell’Occidente e che magari si drogano e frequentano prostitute. Proprio perché non è possibile collegarli prima che agiscano all’islam militante, saranno gli attentatori più efficaci.

Tribunale internazionale? Forse, ma non risolverà di per sé i problemi di terrorismo che affliggono l’Europa.