Che la tragedia del Venezuela sia ormai da considerare peggio del 29 statunitense o della Repubblica di Weimar del secolo scorso ormai lo dicono più che altro i numeri:l’inflazione ha raggiunto la stratosferica cifra del 1.623.656 per cento, mentre nel Paese più ricco del mondo di risorse energetiche naturali e primo anche nei giacimenti petroliferi sono stati estratti solo 740.000 barili quotidiani contro i 3 milioni di pochi anni fa. Ma non solo: ormai la crisi di energia elettrica a causa dei blackout si è ripercossa stabilmente anche sull’approvvigionamento idrico arrivato ad un blocco quasi totale. Nonostante il Paese disponga di riserve d’oro tra le maggiori al mondo, trovate di recente, il suo Pil è caduto di un altro 25% e rischia, almeno secondo dati del Fondo monetario internazionale, di arrivare a un ulteriore 30% in breve tempo.
La situazione sociale pare essersi cristallizzata e non si hanno notizie importanti, anche se in molti osservano che l’accelerarsi della ecatombe energetica favorirà il crollo dell’attuale regime. Ma sui tempi precisi non è dato sapere, nonostante le imponenti manifestazioni che quotidianamente si svolgono ai quattro angoli del Paese. Dopo quelle descritte dal Sussidiario negli articoli precedenti, si moltiplicano le prese di posizione internazionali sulla questione che però nelle ultime ore sono tornate a porre in discussione la posizione dell’Italia che, nonostante l’accordo di Montevideo di tempo fa, riconosce la sola Assemblea nazionale come organo esecutivo ma continua, comicamente, a non considerare Juan Guaidó, prodotto delle sue decisioni, come Presidente ad interim.
Insomma, ancora una volta parte del Governo, quella pentastellata, continua sottobanco ad appoggiare la dittatura di Maduro in un esercizio di incredibile superficialità dovuta a posizioni politiche ispirate agli anni ’50 rivoluzionari (leggasi Cuba) che faticano a liberarsi nei sogni (perché tali sono) di personaggi che non si capisce come respingono tutte le possibili spiegazioni su di una tragedia umana talmente evidente che vengono fatte da tempo e da più parti. Ora ci prova pure la Camera di Commercio Italo-Venezuelana (Cavenit), un organismo di imprenditori di origine italiana operanti in Venezuela, nata nel 1954, attraverso il suo Presidente, Alfredo D’Ambrosio: “Sono circa 750 le imprese italo-venezuelane ancora operanti nel Paese, in vari settori, ma ormai la situazione è arrivata ai limiti di una guerra e non solo per i blackout energetici, ma anche per le continue minacce alle loro attività messe in atto dai famigerati Colectivos, veri e propri gruppi paramilitari agli ordini del regime”.
“Le imprese del settore privato non vanno oltre il 20% delle loro capacità produttive per le situazioni appena spiegate, ma soprattutto per il taglio dell’elettricità, che impedisce di lavorare”. “Ormai siamo al Far-West: con i colectivos che di notte assaltano le fabbriche portandosi via i macchinari, cosa che costringe molti imprenditori a dormire armati per difendere i loro beni”. “Paradossalmente nonostante questa situazione, si sta accendendo una luce di speranza dovuta proprio a un caos che sta portando al blocco totale, fatto che costringerà il potere attuale ad andarsene: una volta risolta questa spinosa questione, il Venezuela si riprenderà soprattutto con una collaborazione economica di quei Paesi che l’hanno appoggiato in questi anni. L’Italia non è tra questi e per questa ragione abbiamo scritto una lettera aperta ai 5 Stelle, per illustrare la situazione”.
La speranza è l’ultima a morire, ma la logica dice che sarà difficile assistere a una loro retromarcia sulla questione, fatto che, visto che sono parte del Governo, porta a vedere il futuro del nostro Paese a tinte fosche.
Nel frattempo Maduro decide di nominare i venerdì come giorni di festa, in modo da ridurre i consumi energetici, mentre il segretario Usa Mark Pompeo dichiara che non solo la città di Caracas è circondata, per la sua difesa, da missili russi, ma anche che, oltre alla Cina, si riscontra la presenza dell’Iran e di cellule di gruppi palestinesi, particolarmente Hezbollah, nel Paese. Insomma, la situazione si sta complicando, ma bisogna anche notare la sostanziale indifferenza del mondo alla problematica venezuelana. Mesi fa, in una riunione internazionale, l’Ad della compagnia aerea tedesca Lufthansa dichiarava che la sua aerolinea (una delle poche) manteneva la rotta su Caracas perché i voli risultavano stracolmi soprattutto in arrivo in Venezuela. Alla domanda di che nazionalità fossero i passeggeri, rispondeva tranquillamente russi, cinesi e iraniani.
Quindi il mondo occidentale, in definitiva, ha chiuso tutti e due gli occhi sul fenomeno, non ritenendolo importante: ma ora si scopre che il tragico errore ha permesso a queste nazioni, approfittando della frammentazione della situazione politica attuale e vieppiù futura, di mettere le mani sul controllo delle risorse del Paese più ricco del mondo. Una situazione geopolitica che purtroppo le democratiche proteste di massa di Guaidó rischiano di non risolvere, aprendo le porte su uno scenario molto pericoloso anche perché abbondantemente sottovalutato. Chi pensava che la guerra fredda fosse un ricordo del secolo scorso è servito.