L’ultima direttiva emanata da Salvini per impedire gli sbarchi dell’Ong italiana Mare Jonio riaccende lo scontro con la Difesa, che accusa il Viminale di sconfinare dalle proprie competenze. La misura è stata decisa da Salvini per impedire che insieme agli immigrati arrivino dalla Libia anche jihadisti: “Mio compito è difendere i confini, combattere terroristi e scafisti” ha detto ieri il ministro dell’Interno. Mauro Indelicato scrive di esteri per Il Giornale e per il blog occhidellaguerra.it. La svolta – dice – può venire solo da parte americana, ma dipende da che cosa l’Italia saprà o potrà offrire a Washington.
È giustificata la direttiva del ministro Salvini?
Risponde ad una preoccupazione legittima, forse eccessiva perché è dal 4 aprile che non si registra alcun incremento dei flussi. Profughi ancora non ce ne sono. Il problema semmai è un altro: è l’ennesimo fronte che si apre all’interno dell’esecutivo.
C’è una soluzione?
Elaborare la linea all’interno della cabina di regia voluta da Conte. Altrimenti le fughe in avanti o i litigi danno un’immagine dell’Italia come di un paese che non si coordina a livello di politica estera.
Si può tracciare un primo bilancio dell’iniziativa diplomatica dell’Italia?
È bene che il governo dialoghi a tutto campo. Siamo il paese europeo che più sta premendo, visto che la Libia ci riguarda da vicino. In realtà siamo arrivati al vero punto di partenza.
Perché non abbiamo ottenuto risultati?
No, perché dopo aver incontrato il vicepremier del Qatar al Thani e il leader di Misurata Maitig, occorrerebbe vedersi con l’altra parte che sostiene Haftar, cioè l’Arabia Saudita. La guerra libica è anche un confronto interno al mondo arabo. Siamo in buoni rapporti con gli Emirati Arabi Uniti? È il momento di usarli.
Abbiamo degli argomenti persuasivi?
Siamo gli unici in grado di parlare con tutte le parti in causa in Libia. Ricordiamoci che a Palermo siamo riusciti a portare entrambi, Serraj e Haftar. Possiamo parlare facilmente anche con il presidente del parlamento di Tobruk, Saleh, il braccio politico di Haftar, e con al Mashri, presidente dell’Alto consiglio di Stato libico. Insomma possiamo fare un’opera di mediazione esclusivamente nostra. Non così gli altri: la Francia non è in buoni rapporti con Tripoli, la Germania è defilata.
Come valuti la notizia del personale “diplomatico” francese fermato in possesso di armi alla frontiera con la Tunisia? Un fatto imbarazzante per Parigi, che si è spinta al punto di negare ogni coinvolgimento con l’offensiva di Haftar.
La Francia sostiene che si trattava di personale diplomatico, ma sappiamo bene che a Tripoli l’ambasciata francese è chiusa. È possibile che fosse una missione finalizzata a portare un supporto logistico in Tripolitania e bisognerebbe capire a chi, a quale fazione. Nelle prossime ore potrebbe emergere qualche dettaglio in più.
La Francia a che gioco sta giocando?
E in forte imbarazzo perché non ha mai nascosto le sue simpatie per Haftar, ma proprio Haftar con l’offensiva su Tripoli ha fatto una mossa che non è stata concordata con Parigi o comunque non è stata concordata appieno, lo dice la situazione sul campo. E adesso Parigi cerca probabilmente di limitare i danni. Forse la presenza di quei misteriosi diplomatici potrebbe essere letta proprio in questa chiave.
Poi c’è l’allarme profughi. Chi ne parla, a Roma o a Tripoli, sa che è il nervo scoperto dell’Italia.
Dal 4 aprile non si registra alcun incremento dei flussi verso l’Italia, vuol dire che in questo momento la guerra non sta provocando alcun esodo. Anzi, nelle ultime ore è emerso che centinaia di migranti diretti in Libia si fermano ad Agadez in Niger o tornano indietro perché hanno paura di andare verso Tripoli. I trafficanti hanno bisogno del controllo del territorio ma le vie di comunicazione sono interessate dagli scontri. L’unico inconveniente potrebbe riguardare una guardia costiera libica ridimensionata dal conflitto.
Per ora sembra che all’iniziativa diplomatica del governo, per incidere, manchi un quid decisivo che può venire solo da parte americana. Arriverà?
Dipende da che cosa l’Italia saprà dare in cambio. Gli americani chiederanno per un loro interessamento verso l’alleato saudita una contropartita: potrebbe riguardare il Venezuela, o una ridiscussione della Via della Seta, questo lo dirà il tempo. In ogni caso una Libia destabilizzata, con il rischio che si sposti troppo verso la Francia o verso la Russia, non va bene nemmeno agli Usa.
(Federico Ferraù)