Lo stanziamento di 10 milioni, con un contributo della “Qatar Charity” pari a 1 milione e 200mila euro, mirava alla costruzione su un’area di 5.200 metri quadrati di un mega-complesso a tre piani comprendente, oltre alla moschea, un centro culturale, una biblioteca e un centro per bambini: un polo d’attrazione con una capienza di 1.200 persone, la cui prima pietra avrebbe dovuto essere posta in corrispondenza dell’inaugurazione dell’Expo di Milano.



Intervistato da Chesnot e Malbrunot, Di Stefano ha motivato la sua contrarietà al progetto, poiché sovradimensionato rispetto alle reali esigenze di Sesto San Giovanni, nonché controproducente per l’integrazione dei musulmani residenti nella zona. Ma è appunto la non-integrazione l’obiettivo dei Fratelli musulmani, così da mantenere le comunità islamiche in Italia e nel resto d’Europa in uno stato di contrapposizione ideologica con le società dei Paesi oggetto di conquista.



Il fatto che sul sito dell’associazione promotrice della costruzione della moschea fosse esplicitato che una quota dei finanziamenti sarebbe giunta dal Qatar ha convinto definitivamente il sindaco di Sesto San Giovanni a bloccare il progetto, nel timore che i fondi venissero utilizzati per attività sospette, come quelle d’indottrinamento e radicalizzazione. Alla richiesta di presentare i bilanci del progetto avanzata da Di Stefano, l’associazione non ha mai risposto.

Altro episodio significativo in cui le ambizioni in Lombardia di Qatar e Fratelli musulmani sono rimaste frustrate riguarda Bergamo, dove la “Qatar Charity” sembra essere incorsa in una truffa. Talmente grande era l’entusiasmo per l’edificazione di un centro culturale che avrebbe dovuto essere il “faro dell’Islam in Italia”, che tra il 2013 e il 2014 da Doha sono giunti ben 5 milioni di euro nelle casse di un’associazione islamica locale in sette rate. Salvo, poi, scoprire che l’ingente finanziamento sarebbe stato utilizzato per altri scopi, circostanza che spetterà al giudice accertare nell’ambito del processo attualmente in corso, che vede coinvolto anche l’Ucoii come parte lesa. L’amarezza della “Qatar Charity” è espressa in maniera evidente nella lettera che il direttore esecutivo, Youssef Al Kuwari, ha indirizzato a Imad El Joulani, il presunto autore della frode, immancabilmente pubblicata in Qatar Papers.



Finora nessuna delusione, invece, dall’Italia meridionale, dove l’attenzione della “Qatar Charity”, pur non trascurando Campania, Puglia e Sardegna, è concentrata soprattutto sulla Sicilia. Gli investimenti di natura religiosa nell’isola servono a far rivivere i 472 anni della dominazione arabo-musulmana, “durante i quali la regione ha conosciuto sicurezza, stabilità e lo sviluppo di tutte le scienze umane”, come recita la brochure nella quale la “Qatar Charity” presenta il nuovo centro culturale islamico di Messina, finanziato per 457 milioni di euro. Far rivivere questo passato mitico serve a promuovere il proselitismo dei Fratelli musulmani in Sicilia finalizzato alla conversione.

In tal senso, il testo tratto da un’altra brochure della “Qatar Charity” è inequivocabile: “I progetti della QC in Sicilia mirano a radicare la cultura islamica nell’isola e a far conoscere il vero volto dell’Islam a tutti coloro che sono interessati a questa religione e che ad essa vorrebbero convertirsi. È per questa ragione che la Qatar Charity costruisce centri islamici polifunzionali”. Il partner principale della “Qatar Charity” nell’isola è il Centro culturale islamico di Sicilia, anch’esso affiliato all’Ucoii. Per la realizzazione della Moschea della Misericordia, nel cuore di Catania, la “Qatar Charity” ha donato 1,7 milioni di euro (il costo totale dell’opera è stato di 2,3 milioni). Alla sua inaugurazione, nel 2012, sono intervenuti il numero uno dell’organizzazione, il cosiddetto supervisore generale, Sheikh Ahmad Al Hammadi, e il direttore esecutivo Al Kuwari, insieme al sindaco della città, al prefetto e ad altri notabili siciliani.

Nella capitale, i Qatar Papers puntano il dito sulla moschea Al Huda nel quartiere di Centocelle, inaugurata nel 2015 e con una capienza di oltre mille persone, seconda solo a quella della Grande Moschea di Roma con cui è in aperta competizione. Si tratta di un complesso di 4 piani che, oltre alla moschea, ospita un centro culturale, una sala conferenze, una biblioteca e una ludoteca aperta a tutta la comunità del quartiere, spazi espositivi e aule per lo svolgimento di corsi di cultura islamica. Il contributo della “Qatar Charity” alla realizzazione di Al Huda è stato di 4 milioni, per un costo complessivo di 5,7 milioni di euro.

I documenti raccolti da Christian Chesnot e Georges Malbrunot “mostrano che Qatar Charity ha reso la comunità musulmana dell’Italia, composta da 1,8 milioni di persone su 60 milioni di cittadini, il primo beneficiario dei suoi investimenti in Europa”. Ai due giornalisti che lo incalzano su come le autorità italiane abbiano potuto lasciare che il Qatar e i Fratelli musulmani promuovessero liberamente la propria agenda fondamentalista in tutto il Paese, l’ex ministro dell’Interno e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi d’informazione, Marco Minniti, risponde che “il problema non è l’entità che finanzia, ma […] la trasparenza e la finalità” dei finanziamenti.

In sostanza, per l’esponente del Pd non costituisce un problema che il Qatar eroghi finanziamenti volti alla diffusione dell’Islam fondamentalista e militante dei Fratelli musulmani in Italia. Su questi presupposti, la “Qatar Charity” non deve nemmeno preoccuparsi di occultare alle autorità italiane i finanziamenti destinati alla Fratellanza e si comprende il perché l’Ucoii abbia firmato il “Patto nazionale per un Islam italiano” fortemente voluto da Minniti quando era al Viminale, mentre si era rifiutata di firmare la “Carta dei valori” emanata dalla precedente Consulta per l’Islam italiano.

Partendo da sinistra, l’avanzata del progetto di conquista del Qatar e dei Fratelli musulmani è arrivato a travolgere il sistema-Italia nel suo complesso. Lo abbiamo detto e ripetuto per anni: fare affari con il Qatar, lasciando campo libero al proselitismo dei Fratelli musulmani in territorio italiano, non è un buon affare. Le ripercussioni sono gravi anche sul fronte della politica estera, come dimostrano gli sviluppi in corso in Libia.

L’uscita dei Qatar Papers è un evento spartiacque. L’Italia deve cambiare rotta e fare fronte comune con il mondo arabo moderato, liberandosi dal giogo del Qatar e dei Fratelli musulmani. Quale governo riuscirà mai nell’impresa?

(2 – fine)