Dopo le folle oceaniche che per settimane hanno invaso le piazze d’Algeria e dopo la malattia che lo ha costretto all’esilio forzato in Svizzera per la riabilitazione, il Presidente Abdelaziz Bouteflika si è ufficialmente dimesso dopo 20 anni esatti di potere ininterrotto nell’importante Paese del Nord Africa. «Il presidente della Repubblica, Abdelaziz Bouteflika, ha notificato ufficialmente al presidente del consiglio costituzionale la propria decisione di mettere fine al suo mandato secondo quanto si è appreso martedì presso la presidenza della Repubblica», scrive il sito dell’agenzia Aps. Sotto stretta pressione dei militari – tanto che non pochi lo chiamano già “golpe soft” – l’Algeria manda in pensione il suo Presidente-dittatore, ormai sempre più isolato per le pessime condizioni di salute provocate dall’ictus del 2013 e del recente peggioramento che aveva fatto urlare allo scandalo per una presunta e irreale rielezione al suo quinto mandato nelle imminenti Elezioni Presidenziali. Non va dimenticato che l’annuncio di Bouteflika arriva poche ore dopo che il Ministero della Difesa, guidato dal Capo di Stato maggiore delle Forze armate Ahmed Gaid Salah (uno dei militari più potenti del Paese, da molti indicato come il reale detentore del potere in Algeria) ha insistito perché il presidente venisse rimosso «immediatamente, non c’e’ altro tempo da perdere».
E ORA COSA SUCCEDERÀ IN ALGERIA?
Attraverso la complessa procedura indicata dall’articolo 102 della Costituzione, invocato dalla piazza il 26 marzo scorso, si prevede l’attribuzione ad interim istituzionale in attesa di elezioni al Presidente del Senato Abdelkader Bensalah (76 anni, al potere da una vita proprio come Bouteflika, oggi 82enne). Il partito del Presidente, il Fln, ormai aveva abbandonato da tempo il suo leader in attesa di capire come e in che modo sostituirlo nel prossimo futuro: di certo al momento l’Algeria resta in mano ai militari che non intendono cedere lo scettro che li vede da oltre un ventennio al potere dopo le violenze dei fondamentalisti islamici prima del 1999. Gli algerini, stanchi per un potere cristallizzato e “eterno” che ha sfruttato le risorse degli idrocarburi di fatto affamando e non arricchendo il popolo, sono scesi in strada dopo l’annuncio di Bouteflika di volersi ricandidare e per sei settimane hanno protestato in modo sempre più massiccio contro il loro leader. Secondo AfricaRivista, si apre ora una fase delicata di transizione: «la parola passa agli algerini. Senza però dimenticare che potenze straniere, come la Francia e l’Arabia Saudita, non saranno spettatori, ma vorranno giocare un ruolo attivo nella crisi». Se prevarranno i giovani – e bisogna vedere chi incanalerà i loro voti per evitare un “nuovo” caso Egitto con i Fratelli Musulmani – o l’antico sistema militare, al momento è difficile da prevedere se non impossibile.