Theresa May sta provando in questi giorni a trovare un accordo sulla Brexit con il leader dell’opposizione Jeremy Corbyn per superare il vicolo cieco attuale e approvare un accordo che possa andare bene sia al Parlamento inglese, sia all’Unione europea. Questo, ricordiamo, a quasi tre anni dal referendum sull’uscita della Gran Bretagna dell’Ue. L’ultimo atto politico è stata una lettera indirizzata da Theresa May a Donald Tusk in cui si chiede un’ulteriore estensione, fino al 30 giugno 2019, del termine per l’uscita dall’Unione europea con l’impegno, se non si trova un accordo entro il 23 maggio, di partecipare alle elezioni del nuovo Parlamento europeo.
Sullo sfondo rimane sempre la questione di un referendum che ha impegnato gli inglesi in una campagna elettorale di sei mesi e che si è chiuso con una vittoria del leave. Ma lasciamo stare in questa fase un aspetto che politicamente rimane importante. Dopo la lettera di Theresa May la prossima mossa tocca all’Unione europea. La quale può concedere un’estensione, più o meno lunga, oppure può ribadire che un’estensione, su una data decisa autonomamente dagli inglesi, è già stata concessa e che quindi il termine del 12 aprile rimane valido. Ieri si sono lette prese di posizione, da parte europea, diverse; segnaliamo quella del Segretario di stato per gli affari europei francese secondo cui “il Consiglio europeo ha preso una decisione chiara il 21 marzo” e “un’ulteriore estensione richiede che il Regno Unito presenti un piano chiaro con un supporto politico credibile”.
Siccome il termine per un’estensione scade alla fine di settimana prossima questo significherebbe richiedere che il Parlamento o la politica inglese producano nei prossimi sette giorni qualcosa che non riescono a fare dal 23 giugno 2016. Il Parlamento inglese dovrebbe produrre o un accordo, almeno una bozza, o la revoca della clausola con cui ha autonomamente scelto di uscire dall’Ue. Altrimenti, se l’Unione europea non concede un’estensione, sul tavolo rimane solo l’uscita senza accordo; un esito che tra l’altro rimarrebbe sul tavolo anche con un’estensione generosa e senza aver visto piani “credibili” da parte dell’Unione europea.
Forse la conferma del termine del 12 aprile, con lo spettro dell’uscita senza accordo, farà cambiare idea agli inglesi e li renderà più propensi ad approvare un accordo; rimane comunque un azzardo dopo quello che abbiamo visto nelle ultime settimane al Parlamento inglese. Forse la novità della collaborazione tra Theresa May e Jeremy Corbyn basterà per ammorbidire l’Ue. Sullo sfondo rimane il dibattito politico inglese che questa settimana non ha fatto mancare nemmeno un video di quattro militari che si esercitano a sparare sul faccione del leader del labour. Non una minaccia, ma una rappresentazione chiara di cosa rappresenti Jeremy Corbyn per una parte degli inglesi. Sono davvero tempi molto interessanti.