Inizia oggi la conferenza di Palermo sulla Libia. Tra detrattori e sostenitori gli scenari che potrebbero aprirsi sono molti e da questi dipenderà il ruolo futuro dell’Italia nell’ex Jamairiya. Difficile dire quali saranno gli esiti. Tuttavia possiamo valutare almeno due condizioni che potrebbero far pendere l’ago della bilancia dalla parte del successo o da quella della sconfitta diplomatica.



La prima riguarda lo scottante tema dei partecipanti all’incontro.

Negli ultimi giorni abbiamo assistito a una sorta di “toto-nomi” che non ha fin qui trovato né conferme né smentite dal governo italiano. Necessità diplomatica o assenza di certezze? Difficile dirlo. E’ indubbio, però, che Russia e Stati Uniti si sono mostrati molto più collaborativi dei nostri presunti alleati europei. Di certo sappiamo che Macron, come era facile immaginare, a meno di coup de theatre dell’ultimo minuto, non sarà presente, così come la cancelliera tedesca Angela Merkel. Meglio sembra andare, invece, sul piano regionale: grazie al lavoro svolto da vari ministri italiani, saranno presenti, tra gli altri, esponenti di Algeria, Tunisia ed Egitto, paesi indispensabili per un dialogo costruttivo con le varie anime locali.



Nell’enfasi di conoscere i nomi dei vari player internazionali sembra però sfuggire un aspetto molto più importante. La conferenza, come più volte sottolineato, non è “sulla” Libia ma “per” la Libia e per i libici e dunque più che dissertare sulla presenza o meno dell’esponente di questo o quel paese, dovremmo forse chiederci quanti e quali attori del complesso mosaico libico presenzieranno all’incontro. Saranno loro, infatti, che dovranno decidere del proprio futuro e approvare o meno le linee programmatiche proposte dagli attori esterni.

L’Italia dovrà dimostrare di saper mettere al tavolo quanti più attori locali possibili: milizie, tribù, sindaci e soggetti della società civile. Anche in questo caso, al momento, non ci sono certezze se non quella della presenza di Fayez al-Serraj, leader del governo a marchio Onu. Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica che gode di un discreto consenso interno e soprattutto internazionale, come nel suo stile gioca sull’effetto sorpresa. Secondo alcune fonti, che sarebbero confermate da ambienti vicini al leader della Cirenaica, Haftar non ci sarà, ma anche questa incertezza potrebbe far parte della strategia. Altre ragioni inducono a pensare che ci sarà, grazie anche all’intercessione dello storico alleato Putin. Il “federmaresciallo” libico, nell’ultima “sortita romana”, pare essersi mostrato piuttosto collaborativo, aprendo a un possibile ritorno nel paese dell’ambasciatore Giuseppe Perrone, considerato persona non gradita fino a poco tempo fa. Un buon inizio insomma. Viceversa se all’ultimo momento declinerà l’invito, sarà come fare i conti senza l’oste e, dunque, un fallimento per il vertice.



Il discorso, però, non può ridursi solo a Serraj e Haftar, altrimenti il rischio sarebbe di replicare la photo opportunity parigina dello scorso 29 maggio che si è risolta in un nulla di fatto anche a causa dell’assenza di importanti attori locali che, in alcune aree del paese, hanno una influenza maggiore di quella dei due leader. Da questo punto di vista il successo di Palermo potrebbe essere misurato anche dal numero (e dallo spessore) degli esponenti libici che prenderanno parte all’incontro. Probabilmente ci saranno i rappresentanti delle potenti milizie di Misurata, alcune vicine al vice premier Ahmed Maitig (a sua volta vicino all’Italia) che avevano invece disertato l’ultimo summit a marchio francese. Riserbo, invece, sulla partecipazione di esponenti di municipalità o di tribù del Fezzan, area nevralgica per la messa in sicurezza del paese.

In termini di attori locali, poi, bisogna considerare il ruolo di Saif Al Islam Gheddafi. Alla conferenza per la Libia il suo posto resterà vuoto, la sua presenza non è mai stata presa in considerazione. Ma qualunque road map uscirà dal summit dovrà fare i conti con lui, fin qui considerato una sorta di “terzo incomodo”. Il figlio del rais non si vede da anni e sembra rimanere in silenzio, ma in realtà è proprio in questa assenza che sta costruendo la sua rete di contatti. In Libia molti lo vedono come una speranza per la pacificazione del paese e sarebbero pronti a sostenerlo.

La seconda condizione per la riuscita dell’incontro riguarda il risultato. Cosa dovrà emergere perché si possa parlare di un successo per l’Italia? Sicuramente l’obiettivo più ambizioso sarebbe quello di ottenere dall’incontro una road map firmata da quanti più esponenti libici possibili, per la stabilizzazione del paese, per la sua messa in sicurezza, per la ripresa dell’economia legale e per porre le basi di un processo istituzionale necessario per avviare un percorso elettorale. E’ l’obiettivo più ambito ma anche il più difficile da raggiungere. Tuttavia, avere una dichiarazione congiunta di intenti della maggior parte dei partecipanti locali all’incontro potrebbe essere un buon inizio. L’augurio è che non si risolva, come già accaduto troppe volte, in una semplice stretta di mano tra Serraj e Haftar e in una bella foto di gruppo, destinata ad a ingiallire nel tempo, mentre la Libia continua a rimanere nel caos.