La strada che porta al monastero dell’Anba Samuel, il vescovo Samuele monaco “confessore della fede” vissuto tra il VI e il VII secolo dopo Cristo, è ormai diventata la strada del martirio dei cristiani ortodossi copti egiziani. Qui, nel maggio del 2017, un attacco rivendicato dallo stato islamico provocò una carneficina con oltre 30 morti. Ieri un nuovo attacco ad alcuni bus carichi di pellegrini in viaggio per la stessa meta ha fatto, per quante se ne sa al momento, una decina di morti. E puntuale è arrivata la rivendicazione dell’Isis. Una zona desertica molto ampia, ci ha detto il corrispondente di Panorama Sherif el Sebaie, impossibile da controllare completamente: “Il fatto che i terroristi colpiscano in queste zone isolate significa che le autorità egiziane, che da tempo davanti a ogni chiesa cristiana dispiegano forze dell’ordine, sono riuscite a ridurre l’azione dei fondamentalisti islamici, è chiaro però che è impossibile controllare tutto il territorio egiziano”. Continua così il martirio dei copti. Pochi sanno che la comunità cristiana egiziana era tra i candidati al Premio Nobel per la pace 2018, con la motivazione di aver rinunciato alla vendetta e alla risposta armata contro i loro persecutori. Un esempio per  tutti i cristiani, ma non solo, un popolo che paga con il sangue il coraggio a non rinunciare alla loro fede.



E’ il secondo attacco ai pellegrini che si dirigono verso il monastero del vescovo Samuele: che importanza riveste questo luogo per i cristiani egiziani?

Tutti i monasteri cristiani in Egitto sono considerati importanti per i fedeli, la comunità copta organizza con una certa regolarità pellegrinaggi in questi luoghi. Sono posti venerati perché legati alla lunga storia del cristianesimo in Egitto, dedicati a personalità che sono considerate carismatiche e prestigiose.

Il fatto che questo sia il secondo attentato nella stessa zona significa che le forze dell’ordine egiziane non sono in grado di controllare questi percorsi religiosi?

Le forze dell’ordine egiziane sono impegnate su tutto il territorio e non possono controllare ogni luogo e ogni strada. Davanti a tutte le chiese ci sono nuclei di polizia armata e ci sono check-point lungo le strade. Rispetto a qualche anno fa gli attentati sono molto diminuiti. Il rischio terrorismo non è azzerabile al 100 per cento naturalmente, come non lo è in Europa. La domanda è con quale frequenza possano verificarsi attentati. Fortunatamente possiamo dire che l’Egitto è riuscito a circoscrivere un fenomeno che poteva essere molto più pericoloso.

Ritiene che questi attacchi siano motivati esclusivamente da odio religioso o c’è anche il tentativo politico di tenere l’Egitto in un clima di terrore?

Tutte e due le cose. I fondamentalisti islamisti vedono nella comunità copta una comunità fedele e schierata al fianco del presidente al Sisi e questo non ha fatto altro che metterli maggiormente nel mirino. Colpendo la comunità cristiana si vuole demolire il governo, i cristiani non si sentono protetti e il ritorno di immagine a livello internazionale è negativa per tutto l’Egitto.

Fratelli musulmani e Isis sono alleati fra loro o conducono due battaglie diverse?

Storicamente da sotto la veste dei Fratelli musulmani sono usciti i peggiori terroristi, rappresentano l’incubatrice ideale per l’estremismo violento. Basti pensare a Osama bin Laden, che faceva parte della loro galassia. Ma quando ne escono, entrano in conflitto fra di loro. Si può dire che usano due strategie diverse per ottenere lo stesso obbiettivo, il potere. I Fratelli musulmani usano la propaganda, l’infiltrazione nelle moschee, o quando possono le elezioni. E’ una strategia nel lungo periodo e di ampio respiro. I jihadisti invece vogliono ottenere il potere subito attraverso la violenza, ma la base ideologica è la stessa.

(Paolo Vites)