Il terrorismo tocca anche le montagne del Marocco, che non erano mai state sfiorate prima dello sgozzamento delle due giovani turiste scandinave (Louisa Vesterager Jespersen, 24 anni, danese, e Maren Ueland, 28 anni, norvegese) ad opera di tre terroristi dell’Isis, arrestati la mattina di ieri a Marrakech. L’accaduto, reso ancor più agghiacciante dal video che ne riprende la decapitazione, è stato accolto con stupore in Italia, perché il Marocco viene solitamente percepito come un’isola di stabilità e meta sicura per i turisti di tutto il mondo. Tutto vero, ma al contempo neppure il Marocco è stato risparmiato dal fenomeno della radicalizzazione jihadista.
Dal fatidico 11 settembre 2001, gli attacchi terroristici effettuati sono stati finora “solo” tre: Casablanca nel 2003 (45 morti causati da una serie di attentati suicidi), Meknes nel 2007 (senza vittime) e Marrakech nel 2011 (16 morti, per la maggioranza turisti), tutti di matrice qaedista. Ma molti di più sono stati invece gli attacchi terroristici sventati: secondo statistiche ufficiali, riportate in un dossier, dal 2002 al 2016 i servizi d’informazione marocchini ne hanno evitati 324, sgominando ben 155 cellule jihadiste (una media di 11 all’anno, di cui 32 legate all’Isis). Inoltre, dal 2011 circa 1.600 marocchini (uomini e donne) si sono uniti ai ranghi dell’Isis in Siria e Iraq come foreign fighters, mentre oltre 2.880 persone sono state arrestate prima che potessero lasciare il paese o al momento del loro ritorno dai teatri del jihad. Con le perdite territoriali subite tra Raqqa e Mosul, l’Isis ha poi spostato la sua attenzione sul Nord Africa, in Libia in particolare, dove nel 2015 il numero di marocchini all’interno dell’organizzazione jihadista ammontava a 300.
Le statistiche dimostrano inequivocabilmente l’esistenza in Marocco di una costante emergenza radicalizzazione, contenuta grazie alla riconosciuta abilità dell’intelligence locale e ai programmi governativi in ambito educativo, sociale e dello sviluppo. Tuttavia, l’orribile crimine perpetrato sui Monti Atlas ci pone di fronte a una realtà che è dura a morire e riesce a sfruttare anche gli spazi più oscuri e irraggiungibili per indottrinare e reclutare nuovi soggetti pronti a colpire.
Da Siria e Iraq a Libia e Marocco, il messaggio dei tagliagole dell’Isis è sempre lo stesso ed è rivolto all’Occidente. È un messaggio di odio e di morte proclamato dall’estremismo che continua a uccidere anche nelle nostre città e non soltanto in Nord Africa e in Medio Oriente. La firma sul messaggio è quella dell’Isis, ma la sua matrice ideologica porta un altro nome: Fratellanza musulmana, la fonte da cui promana l’intera galassia del terrorismo contemporaneo. Pertanto, tutti gli sforzi compiuti nel contrasto alla radicalizzazione e al terrorismo non potranno mai riuscire a debellare il fenomeno finché la fonte non sarà prosciugata.
Su questo versante, la gran parte del mondo arabo ha reagito mettendo al bando la Fratellanza musulmana come organizzazione terroristica e isolando il suo principale finanziatore, che risponde al nome del Qatar. D’altro canto, l’organizzazione è riuscita a penetrare nei gangli vitali dei paesi occidentali, neutralizzandone le capacità di comprensione del problema e quindi di difesa e di reazione nei confronti di esso.
Quanto accaduto in Marocco è l’ennesimo monito per coloro che, soprattutto in Europa, continuano a non voler capire di essere l’obiettivo principale di un ampio progetto di conquista e si stanno lasciando soffocare dal filo rosso del jihad tessuto dagli “Ikhwan” (fratelli, ndr).