E’ stata annunciata dall’inviato speciale dell’Onu, Ghassan Salamé, la Conferenza nazionale della Libia che si terrà nel paese nordafricano dal 14 al 16 aprile. Si tratta del primo passo stabilito dalla road map dell’Onu per arrivare a elezioni già a giugno, obbiettivo che si persegue da tempo senza alcun risultato. Secondo Salvo Andò, già ministro degli Esteri nel Governo Amato e fondatore della Fondazione Nuovo Mezzogiorno e presidente dell’Osservatorio internazionale sui diritti umani nei Paesi del Mediterraneo, siamo ancora in alto mare per il raggiungimento di questi obbiettivi. “Bisogna che trovino prima un accordo i paesi che stanno dietro a personaggi come Haftar e al Sarraj, perché nessuno può essere convinto di ciò di cui non è convinto da altri” ci ha detto.
Lo scorso vertice di Palermo sulla Libia, che ha visto la stretta di mano tra Haftar e Serraj, è stato salutato da molti come una ripresa da parte dell’Italia del ruolo guida nei confronti della situazione libica. E’ d’accordo?
Direi di no. Prima di tutto c’è una carenza di informazioni su quanto succede davvero in Libia, e poi sulla base di quello che sta venendo fuori attraverso le testimonianze dei migranti salvati la situazione in Libia appare tragica, drammatica. Dire che la Libia è un paese sicuro come dice qualcuno è dire qualcosa che non può essere accettabile. Non c’è alcun segno di stabilità.
Compito della Conferenza è portare la Libia a elezioni a lungo attese, si dice entro giugno. E’ un obiettivo possibile?
Il problema non è tanto quello di convocare una consultazione elettorale qualunque, ma di arrivare a un accordo sul dopo elezioni, con la platea dei votanti e sul riconoscimento del fatto elettorale da parte di chi è in lotta.
Ci spieghi meglio.
Se le elezioni dovessero essere un nuovo strappo contro la volontà delle parti in causa contribuirebbero ad aggravare la situazione. Il problema è che sulle elezioni ci sia un accordo che si esprime attraverso una gestione congiunta, altrimenti il giorno dopo diranno che ci sono stati brogli, che non è rappresentato il paese nella sua unità o che ci sono state ingerenze straniere tendenti a imporre un governo amico.
Il nodo è trovare un accordo tra i due protagonisti, Haftar e Serraj?
Un accordo dipende dalla disponibilità di chi sta dietro di loro, perché Haftar e Serraj perché sono delle controfigure di altri. E’ molto difficile che si possa pervenire a una tregua e al ripristino di qualche forma di legalità. Questa è la grande preoccupazione della situazione libica, che fatte le elezioni si imponga una tregua con la forza, una cosa a cui non ho mai creduto. Per fare una tregua contro la volontà di una delle parti bisogna fare una guerra.
Sappiamo che Macron ha fatto spesso sgambetti all’Italia, pensa che questa situazione sia risolvibile?
Non c’è dubbio che ci abbia ostacolato, però la Francia ha una politica estera; non capisco invece dove sia quella italiana, che è fatta di improvvisazioni, visite di cortesia e assicurazioni fondate sul nulla. In politica estera se non c’è un disegno compiuto le visite valgono poco. Vale invece cosa si è in grado di offrire. Ma se questo scenario cambia ogni settimana è difficile pervenire a una convivenza negoziata dei paesi che hanno interesse a trovare una soluzione.
In conclusione, pensa che questa Conferenza possa portare a risultati positivi o sarà l’ennesima occasione sprecata?
Sono abbastanza scettico che si possa avere una svolta. Se dovesse esservi una svolta, il suo antefatto potrebbe essere solo trovare un punto in comune fra i contendenti, prima di avviare un negoziato. Nessuno può essere convinto di ciò di cui non è convinto da altri.