Quello algerino è un popolo che ha subìto una dittatura militare che per farsi accettare a livello internazionale agitava lo spauracchio del fondamentalismo islamista. “O noi o gli islamici”, è ciò che per oltre 20 anni gli è stato prospettato.

E così tutti, anche gli osservatori internazionali, pensando di scegliere il male minore, hanno chiuso gli occhi, facendo finta di non vedere i giornalisti uccisi, la repressione esercitata dai militari, il costo del latte e del pane moltiplicarsi a dismisura a causa di una situazione economica disastrosa. Una vita infernale in una terra paradossalmente ricca, ma in cui i suoi abitanti sono costretti a percorrere chilometri su chilometri verso il confine con il Marocco per poter comprare da mangiare.



Oggi il nuovo spauracchio per rendere ancora accettabile il regime si chiama “guerra civile”, attraverso una lettura errata e forzata degli sviluppi in corso. In realtà, quella alla quale stiamo assistendo da oltre due settimane è una guerra tra il popolo algerino e chi lo governa. La protesta si infiamma contro la ricandidatura dell’ottantaduenne presidente socialista Abdelaziz Bouteflika e noi dobbiamo decidere chiaramente da che parte stare: se con il popolo o con il dittatore.



Perché di questo si tratta. Questo configurano cinque legislature, di cui almeno due totalmente preda della mafia che gira intorno al presidente. Nemmeno a un re spetta così tanto. È vero, il ventennio di Abdelaziz Bouteflika ha portato la stabilità, garantendo una formale laicità delle istituzioni, ma al prezzo di un pericoloso compromesso raggiunto con la Fratellanza musulmana, che adesso soffia sul fuoco della protesta. Un compromesso la cui validità sembra essere ormai venuta meno. Da mesi, infatti, esponenti della Fratellanza musulmana evocavano il “crollo delle istituzioni”.

Ed è qui che l’Europa e l’Occidente dovrebbero intervenire, con una mediazione internazionale efficace, in grado di garantire la riconquista della libertà da parte del popolo algerino e allo stesso tempo opponendosi tempestivamente alla Fratellanza musulmana, senza ripetere le politiche e gli errori commessi in Libia. Occorre evitare che la primavera del popolo algerino si trasformi in un nuovo inverno islamista nel Mediterraneo, alle porte di casa nostra, con l’Italia particolarmente esposta ai rischi che potrebbero derivarne.



Non si può, dunque, che appoggiare la resistenza popolare e lasciare agli algerini la possibilità di decidere serenamente il proprio futuro, senza dover più scegliere tra due fuochi: quello del terrorismo, da una parte, e della dittatura, dall’altra. Gli algerini non meritano questo, ma solo vera libertà e indipendenza.