Ieri Tripoli ha rotto le relazioni con la Francia “perché sostiene Haftar”. Una decisione che semplifica il quadro, traendo le conseguenze di quello che tutti sanno, ma nello stesso tempo lo complica, perché allontana la possibilità di un accordo che fermi lo scontro tra Tripoli e Tobruk. Gli Stati Uniti, ai quali appartiene la chiave della soluzione, sembrano distanti, in realtà la prospettiva di una bi- o tripartizione della Libia sarebbe coerente con il progetto che perseguono da decenni, dice al Sussidiario Ibrahim Magdud, intellettuale e arabista libico.



Semplifichiamo il quadro, professore.

Ci sono due volontà in conflitto, una è quella del governo di Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale, l’altra è quella espressa dal parlamento di Tobruk, eletto regolarmente dal popolo libico. 

Vuol spiegarci meglio i presupposti di questo conflitto?

Difficile riassumerlo. Tutto comincia dall’applicazione degli accordi di Skhirat (Marocco) del 2015. Il Consiglio presidenziale avrebbe dovuto essere di nove membri, ma vi aderirono tre persone soltanto. Attualmente, la comunità internazionale riconosce come unico rappresentante della Libia al Serraj e come legittima la Camera di Tobruk, eletta dal popolo libico, ma non il governo nato da quel parlamento. Serraj e la Camera di Tobruk sono entrambi legittimati, ma il governo di Tripoli non è espressione del parlamento eletto. L’appoggio di alcuni paesi esteri all’uno o all’altro dei contendenti ha ulteriormente inasprito la conflittualità fra le parti.



In che modo Haftar vuole risolvere il problema della Libia?

Egli sostiene di voler entrare a Tripoli e liberarla dalle milizie che la tengono in ostaggio. Non si pensi a semplici bande armate; sono gruppi organizzati che comandano a tutti i livelli dell’istituzione pubblica. Questo, almeno, è quello che sappiamo.

E invece?

I suoi nemici sostengono che intenda varare lo stato d’emergenza, mantenerlo per 2-3 anni così da stabilire una dittatura militare su tutto il paese.

Lei cosa pensa?

È verosimile. Formerebbe un consiglio militare e probabilmente indirebbe le elezioni, col rischio che queste possano essere manovrate se svolte in un simile contesto di forte pressione. Occorre tener presente che in Libia non c’è una costituzione in vigore: il progetto di costituzione non è mai stato varato.



Al Serraj invece quali prospettive ha?

Gode formalmente dell’appoggio dell’Onu e di tutta la comunità internazionale, in particolar modo di Qatar, Turchia, Italia e Regno Unito. Ma tale sostegno si sta indebolendo.

La Russia che ambizioni ha sulla Libia?

Mosca vuole conquistare spazio strategico nel Mediterraneo. L’eventuale sostegno ad Haftar è funzionale a questo progetto. La stessa situazione in Siria ne è parte integrante.

La Francia?

A Parigi interessa la Libia perché a sud confina con il Ciad e il Niger. E laggiù c’è l’uranio. Non sono dunque interessi limitati al petrolio libico.

Cosa dovrebbe fare il nostro governo?

Essere più attivo all’interno dell’Ue, lavorando per portare quanti più paesi è possibile sulle posizioni italiane. Senza questo allineamento non otterrà molto di più rispetto a quello che sta facendo. 

Il nostro alleato più importante è l’America, che sembra addirittura volersi ritirare dal Mediterraneo. Ovviamente nessuno lo crede.

Il filo del burattinaio c’è sempre, anche se non si vede. Da Washington arriva fino al Qatar e muove in molti modi, non solo con le armi, ma anche con il lasciar fare al momento opportuno. C’è un progetto americano, risalente ai primi anni 80, che prevedeva una messa in sicurezza del Medio Oriente attraverso lo smembramento dei paesi arabi. È stato ideato dall’orientalista Bernard Lewis e adottato dall’establishment americano appunto da diverse decadi. L’ultima ad averlo sostenuto è stata Robin Wright sul New York Times nel 2013.

E cosa prevede?

Una Libia divisa in tre, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan; una bipartizione dell’Iraq, la divisione della Siria in tre parti, e dell’Arabia Saudita addirittura in 5 regioni, quelle precedenti l’epoca contemporanea. E un allargamento del territorio israeliano. Molto di questa “previsione” si sta avverando, o ci va molto vicino.

Va bene, ma oggi?

Rimane il fatto che il caos libico può essere risolto solo dagli americani. Oltre ad avere il diritto di veto in Consiglio di sicurezza, hanno ottimi rapporti bilaterali con i paesi che ne fanno parte.

Un’ultima domanda. Nessuno in questa crisi sembra occuparsi della Noc, la compagnia petrolifera di Stato libica. Cosa può dirci?

È saldamente in mano ad al Serraj. Lo è anche la banca centrale libica, garantita a sua volta dalla Banca mondiale. Adesso sono io che le chiedo: chi comanda in quest’ultima?

(Federico Ferraù)