Che l’Argentina sia una nazione creata con il contributo di un’immigrazione tra le principali del secolo scorso è cosa risaputa. Che il fenomeno continui, e con numeri importanti, nonostante il Paese non goda di una situazione di prosperità nemmeno lontanamente immaginabile a quella che spinse milioni di persone, tra le quali moltissimi italiani, a sceglierla come luogo dove “farsi l’America” (d’altronde pure l’Italia attraversa da anni una crisi che pare senza soluzioni), è uno dei motivi, vista la storica esperienza in materia del Paese sudamericano, che ci hanno spinto a intervistare l’attuale direttore dell’ufficio di immigrazione, Horacio José Garcia. Anche per scoprire, con sorpresa, come il passato continui a insegnarci soluzioni che spesso dimentichiamo.
Qual è attualmente la percentuale di stranieri residenti in Argentina?
Secondo le cifre del 2010 si tratta di un 4%, ma diffido molto di questo dato visto che è stato elaborato durante l’ultimo censimento da un’ amministrazione di un Governo che ha fornito diversi numeri non corretti (tra i quali l’inflazione, la disoccupazione e la povertà) durante il suo mandato. A ogni modo l’Argentina è sempre stato un Paese aperto all’immigrazione: attualmente si sta verificando il fenomeno di quella venezuelana che ha conquistato il primo posto, scalzando Perù e Bolivia. Si tratta di un’immigrazione di persone serie, con grande capacità lavorativa e voglia di integrarsi, come d’altronde altre etnie, ma il problema non sono queste ultime ma lo Stato…
In che modo?
Molte volte la dirigenza politica non possiede il sufficiente talento per coniugare la forza trasformatrice che le varie correnti etniche potrebbero apportare a beneficio del Paese che le ospita, fatto che produce l’accumulazione massiva di persone in una località. Per esempio, negli ultimi due anni di Presidenza Macri si sono radicate legalmente in Argentina 587.000 persone, un numero enorme, di cui però l’83% nella sola Buenos Aires e nella prima cintura urbana, fatto che rappresenta una bomba demografica che dobbiamo risolvere utilizzando talento, logica e misura.
Attraverso quali misure?
Orientando i flussi migratori nei luoghi dove il Paese ha bisogno di forza lavoro genuina. Molti pensano che in Argentina esista un grave problema di disoccupazione. Ha sì un problema di sviluppo anche perché si tratta di un Paese federale che ha una visione assolutamente centralista, ma per capirlo ci si dovrebbe recare a conoscere le realtà delle varie province che lo compongono. Si scoprirebbe che in tutte quante c’è un’offerta di lavoro insoddisfatta, sia comune che qualificata. In quelle che abbiamo esaminato finora mancano medici, infermieri, tecnici e personale nel settore agricolo. Ma c’è in questo un dato interessante che dimostra la forza trainante dell’immigrazione: nella provincia patagonica di Rio Negro si è verificata una mancanza di medici, professione per la quale si offrivano stipendi molto interessanti Noi abbiamo proposto dottori venezuelani e invece, a causa di questo annuncio, si sono presentati ben 43 argentini che hanno trovato lavoro. Ma questa idea non è figlia del Governo Macri.
E dove ha origine allora?
Siamo rimasti fedeli a un piano elaborato nel 1900 proprio in Argentina. Nel 1906 venne fondato l’Hotel degli Immigranti, nei cui locali ci troviamo. Guardi un po’ dove siamo ubicati: tra il porto e la Stazione di Retiro, una delle principali del Paese. Qui per cinque giorni l’immigrante soggiornava e veniva alimentato per poi passare, dopo controlli medici, a un ufficio di collocamento che lo orientava in un luogo dove la sua attività lavorativa, specializzata o comune, era richiesta. E molte volte dalla stazione iniziava un viaggio, anch’esso pagato, verso la località dove sarebbe iniziato il rapporto di lavoro. Questo compito lo svolgeva la nostra direzione, senza avere internet o WhatsApp: come possiamo essere così poco intelligenti da non ricostruire questa rete per generare un circolo virtuoso che permetta di risolvere i problemi odierni, che poi sono gli stessi di allora? Questo è il fenomeno al quale dobbiamo restituire importanza oggi.
Molto bello e importante, ma quando si ha intenzione di far ripartire tutto questo, visto che mi pare sia ancora un progetto?
Abbiamo recentemente firmato accordi con le province patagoniche di Rio Negro, Neuquen e Chubut e lo faremo con tutte le altre provincie. Una volta siglato il patto si darà vita a una piattaforma informatica nella quale le province ci informeranno sulle proprie richieste lavorative. Da poco abbiamo messo in moto il processo di radicazione elettronica, che costituisce il primo passo per la gestione di tutto il fenomeno, saremo il primo Paese in America Latina ad attuarlo. Al suo interno si trova una sezione dedicata alla descrizione della propria esperienza lavorativa, in modo da poter calibrare meglio l’offerta e far sì che la provincia interessata si rivolga direttamente all’immigrante con proposte concrete. Non c’è magia: questo è un lavoro di costante costruzione, lo stesso di cent’anni fa. Il problema è questo: avere ben in testa che non possiamo offrire all’immigrante come menù una coperta e un posto in un quinto piano di un quartiere marginale. Dobbiamo regolarizzare un fenomeno che negli ultimi vent’anni ha sofferto di una clandestinità massiva sviluppatasi attraverso un’immigrazione disorganizzata.
(Arturo Illia)