RIO DE JANEIRO — Mentre sto scrivendo Jair Messiás Bolsonaro sta assumendo l’incarico di trentottesimo presidente del Brasile.
E’ arrivato in Parlamento su una Rolls decappottabile, è stato accolto con ovazioni, ha fatto il cuoricino con le mani, gli è scappata una lacrima.
Ha fatto un discorso breve, senza sorprese: valori giudaico-cristiani, opposizione all’ideologia di genere, liberalizzazione delle armi, deregulation.
E’ difficile sottovalutare l’importanza del momento: dal 1995 il presidente è sempre stato di sinistra, prima del “moderato” Psdb, poi del radicale Pt. Differenti nel grado di accettazione delle regole di mercato, erano entrambi sostenitori di uno stato “pesante” e protettore delle industrie nazionali.
Il modello ha dato frutti ma ha poi preso la mano, con l’esplosione della spesa pubblica — meglio: per dipendenti pubblici —, l’aumento della burocrazia e la corruzione diventata sistema. Per cambiare portiamo un esempio al di fuori della famosa Operazione Lava Jato: gli ultimi 4 governatori di Rio de Janeiro, gli ultimi 20 anni di presidenza del secondo Stato della Federazione, sono attualmente in carcere. L’economia si trova ora al 153esimo posto nella classifica dell’apertura (la Russia è al 107esimo, la Cina al 110imo). Secondo la Banca Mondiale il Brasile è 125esimo per la facilità di intrapresa, è il settimo peggior paese in termini di carico fiscale ed è tra i 15 peggiori in cui cominciare un’impresa. Più importanti delle pagelle della Banca Mondiale sono comunque le conseguenze: 14 milioni di disoccupati che continuano a stare ai margini dell’economia del paese.
La sterzata a destra è secca. Il nuovo superministro dell’Economia, Paulo Guedes, è stato — letteralmente — allievo di Friedman all’Università di Chicago ed è un falco neo-liberale. Il ministro dell’Educazione Ricardo Vélez-Rodríguez è un professore universitario critico da decenni dell’ideologizzazione della scuola brasiliana. La star del nuovo governo rimane comunque Sergio Moro, il giudice che ha mandato in galera l’ex-presidente Lula, e che raduna sotto di sé tanto la Giustizia (garantendo la continuità della lotta alla corruzione) quanto la Sicurezza pubblica.
In politica estera il Brasile del Pt prestava denaro a Cuba e al Venezuela, appoggiava l’Iran e creava la banca dei Bric con la Cina. Il primo esponente straniero che Bolsonaro ha incontrato è stato John Bolton, il consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump. Ha poi annunciato che l’ambasciata del Brasile in Israele verrà trasferita a Gerusalemme e si è incontrato con Netanyahu che ha partecipato alla cerimonia di insediamento.
Nei rapporti col Parlamento tanto il Psdb che il Pt avevano fondato il loro potere sull’alleanza coi partiti, in particolare il Pmdb, i socialdemocratici italiani degli anni 80 in salsa tropicale e al 20% dei seggi. Bolsonaro si è invece rivolto finora ai gruppi di interesse — paradossalmente molto più definiti e stabili dei partiti ufficiali —: gli agrari, gli industriali, gli evangelici. Il sistema dei partiti accetterà di essere messo in secondo piano?
Bolsonaro non ha avuto insomma paura di andare all’attacco. La sua battaglia decisiva, però, potrebbe essere quella che ha in comune con l’arcinemico Lula: quella contro la Rede Globo, la tv che ha fatto e disfatto il primo presidente dopo la dittatura e che raccoglie il 40% del mercato pubblicitario nazionale. La Rede Globo è il partito laicista che il Brasile non ha mai avuto: se il Pt, nato dalla Chiesa cattolica e dalla Teologia della liberazione, non ha mai potuto tirare tutte le conseguenze delle sue posizioni ideologiche, la Globo con le sue telenovelas “politicamente corrette” e i suoi editorialisti ha sempre spinto per il “progresso”.
Ha quindi sempre disprezzato Bolsonaro e lo ha visto come nemico: l’ha ignorato fino a quanto poteva, poi ha schierato le batterie. Il colpo decisivo doveva essere un’intervista al Tg della sera durante la campagna elettorale, in cui i due conduttori hanno bombardato l’allora candidato con le sue dichiarazioni più discutibili. Bolsonaro, fedele al suo carattere, invece di difendersi ha cominciato ad attaccare: “Lei ha sostenuto che le donne dovrebbero avere salari minori” “Lei, Renata, guadagna più o meno di William Bonner con cui presenta il Tg?”, “Lei, Bonner, che si è divorziato come me…”. L’intervista è stata velocemente interrotta quando, rispondendo alle accuse di aver giustificato la dittatura militare, Bolsonaro ha cominciato a citare le dichiarazioni analoghe rilasciate da Roberto Marinho, il fondatore storico della Rede Globo. Poi sono venute le elezioni…
Siamo ad un altro atto del conflitto, ora. L’evangelico Bolsonaro continua ad avere l’appoggio della evangelica Record (la seconda rete tv brasiliana) e della democrazia diretta di twitter, e ha ora le mani sugli ingenti fondi statali che Globo riceve a vario titolo. Vincesse contro di lei, sarebbe il primo.