Ennesimo attentato a Mogadiscio, già rivendicato dall’organizzazione islamista al Shabaab. Gli islamisti da anni conducono una guerra totale contro lo Stato, che sta provando a rimettersi in piedi dopo anni di guerra civile. Obbiettivo un bus che trasportava parlamentari e membri dello staff governativo proprio nelle vicinanze dell’ex palazzo del parlamento. Le vittime sarebbero almeno una decina. Come ci ha spiegato Marco Di Liddo, analista responsabile del Desk Africa e del Desk ex-Urss presso il Cesi, il fatto che l’obiettivo sia stato proprio un gruppo di membri del governo fa pensare a un cambio di strategia, pur non ancora dichiarata ufficialmente, del gruppo terrorista, cioè l’attacco diretto alle strutture del potere invece di quelli indiscriminati verso la popolazione civile.
Un attentato particolare quello di ieri. Può essere una coincidenza che siano stati colpiti membri dell’amministrazione o si tratta di un segnale da non ignorare?
In tutti i gruppi di tipo radicale jihadista nel continente africano c’è sempre stata una dicotomia, due diversi approcci di pensiero su chi colpire durante gli attentati. Differenze solo operative che non hanno giustificazioni ideologiche.
Quali sono?
Secondo una delle due scuole di pensiero dovrebbero essere colpiti esclusivamente gli esponenti del governo, quindi l’apparato amministrativo, quello militare, chi ricopre insomma una carica e svolge una funzione nello Stato, mettendo da parte la popolazione civile.
L’altra?
L’altra invece non fa alcuna distinzione tra governanti e governati e conduce le sue azioni terroristiche in modo indiscriminato, colpendo la popolazione perché considerata responsabile quanto i governanti di una data situazione che gli estremisti vogliono cambiare. Anche perché colpire i civili fa aumentare drasticamente il grado di terrore e l’impatto psicologico, e quindi mette in difficoltà le istituzioni che vengono accusate di non fare abbastanza per difendere la popolazione.
Al Shabaab da che parte si colloca?
Fino a oggi al Shabaab aveva adottato la seconda opzione, colpire cioè in modo indiscriminato popolazione e governanti. Quest’ultimo attentato potrebbe teoricamente essere un segnale di cambiamento, ma oggi non abbiamo elementi sufficienti per dirlo, perché è solo un attentato, e poi non c’è stata alcuna dichiarazione pubblica dell’emiro su un cambiamento di direzione. Però c’è un trend nell’ultimo periodo che potrebbe farci pensare a questo cambiamento.
Quale?
Questo trend in realtà non viene dalla Somalia ma dal Kenya, dove al Shabaab quando doveva colpire coloro che erano in una scuola o in un autobus chiedeva alle persone una dimostrazione del loro essere musulmani o meno. Se questi sapevano recitare i versetti del Corano venivano risparmiati o uccisi.
Perché ci sarebbe questo cambiamento?
Proprio questo atteggiamento discriminatorio tra le vittime potrebbe aver causato la perdita sulla posizione civile del reclutamento. Facendo venir meno questa distinzione si cerca di recuperare del terreno nel campo del consenso.
Proprio in questi giorni il ministro degli Esteri somalo si trova in visita in Turchia, paese che sappiamo avere forti interessi in Somalia. Cosa è andato a chiedere secondo lei?
Questo viaggio va compreso nel quadro del rafforzamento dei rapporti fra i due paesi, che avviene a 360 gradi. La Turchia è uno degli attori più dinamici dopo le monarchie del Golfo negli affari somali ma la competizione è serrata. È uno dei maggiori donatori nella ricostruzione della Somalia. Questo viaggio toccherà non solo aiuti militari, ma anche una maggiore elargizione di fondi in attività per stabilizzare il paese, come le infrastrutture e le scuole. Ultimamente poi ci sono state frizioni fra la Somalia e alcune monarchie del Golfo che stanno sopportando progetti in regioni secessioniste come il Somaliland.
La Somalia insomma fa gola a molti a livello internazionale e questo non facilita la fine dell’attività terroristica.
La Somalia, non avendo nulla e dovendo chiedere tutto a tutti, è costretta a chiedere aiuto a chiunque, ovviamente nel mondo islamico. Interferenze che al Shabaab combatte in tutti i modi.
(Paolo Vites)