Libia. Dopo una breve fase di stallo, il fine settimana coinciso con le festività pasquali e la terribile carneficina in Sri Lanka, ha visto il riaccendersi degli scontri in quel di Tripoli. Le milizie islamiste che sostengono il governo di Fayez Al Sarraj, legate ai Fratelli musulmani e armate dal Qatar, hanno lanciato un’offensiva a sud e ad est della capitale per respingere la pressione dell’esercito nazionale guidato dal generale Haftar, accusato a sua volta di aver ordinato dei bombardamenti sulla città che non avrebbero però causato vittime.
Di tali bombardamenti hanno dato notizia due testate che non brillano certo per imparzialità. The Libyan Observer è infatti portavoce di Al Sarraj e Al Jazeera del Qatar e dei Fratelli musulmani. In particolare, la ricostruzione di Al Jazeera sembra poco convincente. L’inviato afferma che i raid sono stati effettuati con degli aerei, ma menziona anche testimoni oculari che avrebbero avvistato dei droni mentre sganciavano delle bombe, forse per arricchire il suo resoconto con qualche nota di colore in più. Si tratta di una fake news?
Il bilancio umanitario del conflitto continua comunque a salire. La World Health Organization ha contato finora 220 morti e oltre mille feriti, mentre gli sfollati ammonterebbero a 25mila, secondo l’International Organization for Migrations. Cifre certamente più verosimili rispetto agli 800mila migranti pronti a invadere l’Italia paventati da Al Sarraj come monito rivolto al governo di Roma, affinché non “tradisca” il campo islamista a cui deve la sua nomina a capo del consiglio presidenziale con la benedizione delle Nazioni Unite.
Conte, Salvini e Moavero – i tre esponenti dell’attuale esecutivo maggiormente coinvolti nella crisi libica – hanno ribadito fedeltà alla linea del Qatar in occasione della visita a Roma del ministro degli Esteri di Doha, Mohamed Al Thani, e quindi il loro sostegno ad Al Sarraj durante l’incontro con il vicepresidente del governo di Tripoli, Ahmed Maitig. Quest’ultimo ha rincarato la dose, parlando di 500 terroristi dell’Isis pronti a salpare per l’Italia dalla Libia insieme agli 800mila migranti di Al Sarraj.
Tali minacce all’Italia segnalano il montare di una certa insicurezza nei vertici del consiglio presidenziale, che temono di perdere una preziosa sponda sul fronte diplomatico, mentre la maggior parte delle principali cancellerie internazionali si sta schierando a favore di Haftar.
Le manifestazioni anti-Macron messe in scena a Tripoli dicono più del supporto francese al capo dell’esercito nazionale libico di quanto Parigi non abbia voluto far trasparire finora. Ma a spostare decisamente gli equilibri diplomatici a favore del generale è stato il sostegno giunto dagli Stati Uniti.
Il presidente Donald Trump ha voluto stabilire un contatto personale e diretto con Haftar, comunicandogli in una conversazione telefonica l’apprezzamento di Washington per “il ruolo significativo svolto nella lotta al terrorismo e nel garantire la sicurezza delle risorse petrolifere della Libia”. Inoltre, i due leader hanno parlato di “una visione condivisa per la transizione della Libia a una sistema politico stabile e democratico”, smentendo gli oscuri presagi della propaganda dei Fratelli musulmani, che attribuisce ad Haftar l’intenzione di stabilire un regime militare.
Haftar è pertanto riuscito nell’impresa di far convergere sulla sua figura Stati Uniti e Russia. Sia Mosca che Washington hanno negato la loro approvazione a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza proposta dalla Gran Bretagna, che condannava l’offensiva su Tripoli, invocando il raggiungimento di un cessate il fuoco e di una soluzione politica alla crisi. Tuttavia, il riferimento alla soluzione politica è divenuto un mero ritornello con scarsa aderenza allo stato attuale dei negoziati promossi dalle Nazioni Unite, che a distanza di cinque anni si trovano a dir poco in un vicolo cieco. Casa Bianca e Cremlino vedono perciò nel cambiamento dei rapporti di forza sul campo un’opportunità per rilanciare quelle prospettive di riconciliazione nazionale a cui i Fratelli musulmani, asserragliati con le loro milizie nella capitale, hanno sempre rifiutato di acconsentire.
Per l’Italia, la collocazione degli Stati Uniti nel campo pro-Haftar è particolarmente significativa e spinge il governo a operare un urgente cambio di rotta. L’invito ad abbandonare il campo islamista è già arrivato dal ministro degli Esteri del governo provvisorio libico basato a Tobruk, Abdulhadi Lahweej. In un’intervista, questi ha assicurato che gli interessi di Roma in materia di lotta al terrorismo, sicurezza degli approvvigionamenti energetici e questione migratoria possono essere pienamente soddisfatti dal suo governo sin da ora. Malgrado l’accondiscendenza mostrata verso il ministro degli Esteri del Qatar e il vice di Al Sarraj, Conte, Salvini e Moavero ci stanno pensando?
L’incontro tra il ministro degli Esteri italiano e il suo omologo francese, Jean-Yves Le Drian, di venerdì 19 aprile, potrebbe in effetti rappresentare l’inizio di un cambiamento nell’approccio dell’esecutivo. Il ministro francese ha parlato della necessità di una “solida intesa Italia-Francia” senza la quale “non è possibile far nulla in Libia”. Su quali termini si dovrà basare questa intesa? La bilancia pende in maniera crescente dalla parte di Haftar e l’Italia non potrà fare altro che adeguarsi se vuole mantenere un minimo di rilevanza nel dossier libico.
Con la “solida intesa”, la Francia sembra voler rassicurare l’Italia sulla salvaguardia dei suoi interessi nazionali in cambio della fine del supporto al governo dei Fratelli musulmani a Tripoli, esattamente quanto temuto da Al Sarraj e Maitig. Allo stesso tempo, la proposta francese implica anche l’accettazione da parte dell’Italia di un ruolo di secondo piano in Libia, conseguenza della scelta errata da parte di Roma di appiattirsi sulle posizioni del Qatar e sulla difesa a oltranza di Al Sarraj. Un errore fatale, confezionato dal governo Renzi ed ereditato dall’attuale esecutivo, che si trova ora a gestire un fallimento che non ha fatto nulla per evitare.
Ammettere l’errore per ricostruire il rapporto con Haftar, come suggerito da Lahweej (e in sostanza anche da Trump), è l’unica strada rimasta da seguire se il governo vuole evitare un’ulteriore marginalizzazione dell’Italia e sperare di usufruire di nuovi spazi di manovra nella crisi libica.