La Cina rinuncia a rieducare le prostitute. Per la prima volta dall’avvento del comunismo in Cina, la magistratura ha dichiarato in contrasto con la costituzione la pratica della “rieducazione”, che consiste in pratica di un periodo di internamento dove persone sospettate di essere contrarie al regime vengono sottoposte a diverse coercizioni, anche fisiche, per tornare a essere buoni comunisti. In pratica una incarcerazione con lavaggio del cervello, da dove si usciva non certo rieducati ma solo terrorizzati tanto da abbandonare la resistenza. Peccato che la decisione sia stata presa non per casi politici o religiosi, ma per le prostitute e i loro clienti.



LA PROSTITUZIONE IN CINA

Secondo la Commissione affari legali del parlamento cinese infatti va abolita la pratica della rieducazione delle prostitute e dei loro clienti che era in vigore dagli inizi degli anni 90. Le prostitute e i loro clienti colti in flagranza rischiavano da sei mesi a due anni di rieducazione con lavori forzati e lezioni sulla legalità e l’etica. I giuristi cinesi sostengono che la rieducazione obbligatoria “restringe le libertà personali” privandoli della liberà, e che “questi aspetti devono essere regolati dalle leggi e non da semplici regolamenti e istruzioni amministrative “. Fino a poco tempo fa in Cina la prostituzione era considerata “il sesto male della società”: secondo alcuni esperti mediamente fino a oggi tra le 18mila e le 28mila donne vengono mandate nei campi di rieducazione ogni anno.

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