Non sembra esserci grande entusiasmo intorno al secondo vertice, in Vietnam, fra Donald Trump e Kim Jong-un. Il primo summit fu un evento storico, che ben pochi avrebbero immaginato, ma di fatto i due leader tornarono a casa solo con vaghe promesse e nessun accordo firmato. Da quel momento la Corea del Nord, che pure ha cessato di testare nuovi missili nucleari, non ha però fermato, come chiedevano gli Stati Uniti, lo smantellamento del proprio arsenale atomiico. D’altro canto, davanti alle due condizioni avanzate dalla Corea del Nord, Trump non ha mai sospeso le sanzioni contro Pyongyang né ha compiuto alcun passo per riportare la Corea del Nord nel contesto internazionale. Restano poi molte altre condizioni che nessuno dei due Paesi ha rispettato, a partire dalla fine delle esercitazioni militari americane in Corea del Sud. Secondo Carlo Jean, tutto questo era prevedibile “e consono alla diplomazia dei piccoli passi,  l’unica che i due Paesi possono oggi concedersi”.



Dopo il precedente summit, l’impressione è che ci si trovi in una situazione di stallo, che non ha portato a un nulla di fatto. E’ d’accordo?

Più che di stallo, è una situazione di esplorazione reciproca, stanno cioè vedendo come si possono mettere d’accordo su una soluzione minimale in merito a lancio dei missili e sviluppo di armi nucleari. E’ la dimostrazione che la strategia di Trump ha successo.



In che senso?

Nel senso che la Corea del Nord si adegua a quanto l’America chiede, come dimostra il fatto che si tiene un secondo summit. Nessuno dei due può vincere al 100%, quindi troveranno ancora una soluzione di compromesso. Kim non può rinunciare a tutto il programma nucleare, da cui dipende, anche e soprattutto, la sua sicurezza personale. Per capirci, senza le armi nucleari è destinato a fare la fine di Gheddafi.

La Corea del Nord lamenta che non si è fatto nulla per riportarla, come promesso, nello scenario economico internazionale. E’ così?

Trump, su questo, ha le mani legate dalla Corea del Sud, che pure mostra un atteggiamento conciliante verso la distensione con i cugini del Nord maggiore di quanto abbiano i falchi di Washington. Anche Giappone e Cina hanno ovviamente il loro peso in tutto questo.



A conferma del fatto che Pechino continua a essere il “burattinaio” della Corea del Nord?

E’ interessante notare la recente apertura di Trump sul nodo dei dazi contro la Cina. Pechino ha sempre un peso molto forte sulla Corea del Nord e questa apertura di Trump è legata proprio ai colloqui di questi giorni con il leader nordcoreano.

Dunque ogni passo con la Corea del Nord continua a passare dai rapporti tra Washington e Pechino?

Certo, molto dipende dai rapporti fra Stati Uniti e Cina: ogni eventuale passo di distensione porterebbe a una ricaduta positiva anche nei rapporti americani con la Corea del Nord.

Che esito si può immaginare per questo summit? Potrebbe, per esempio, portare alla firma della pace tra Stati Uniti e Corea del Nord, che formalmente sono ancora in guerra dal 1953?

Tale firma ha un carattere puramente simbolico, che potrebbe comunque aprire i rapporti commerciali tra le due Coree. Ma è una mossa da fare con molta cautela perché la Corea del Nord, in questo caso, rischia poi di essere “mangiata” economicamente da quella del Sud.

Un altro scenario potrebbe sancire la fine delle esercitazioni militari americane in Corea del Sud, che Kim Jong-un chiede a gran voce?

Non credo sia possibile. Le esercitazioni non sono la dimostrazione di un rafforzamento delle capacità militari, che dipendono dalle forze schierate e dagli scenari contingenti a cui sono legate. La sospensione non significa nulla, se non una mossa simbolica per facilitare un successivo accordo. Ben più importante sarebbe lo stop allo schieramento dei missili anti-aerei americani, che la Cina considera un pericolo. Ma non mi sembra che si parlerà di questo, in quanto il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, John Bolton, ha confermato la necessità di mantenere quello schieramento.