A Buenos Aires si è appena chiusa la 45a edizione della Fiera del libro, un avvenimento di straordinaria importanza culturale che ha nel tempo assunto una posizione di privilegio nell’ambito di questo tipo di manifestazioni a livello mondiale, ma che, come la Fiera omonima di Torino, ha messo in luce contraddizioni, ma soprattutto ingerenze politiche che con la cultura hanno ben poco a che fare.
Lo si è visto giovedì scorso, quando l’intera struttura che ospita la Fiera è stata in pratica occupata da un atto politico: la presentazione del libro dell’ex Presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner, intitolato “Sinceramente”. Si è assistito a una manifestazione di puro stampo fascista, non solo perché è stato negato l’accesso a chi non era incluso nella lista di ospiti nella Sala Borges (povero lui… come deve essersi girato nella tomba), ma anche perché ha avuto luogo un’aggressione a una giornalista del canale televisivo TN (Todo Noticias) del Gruppo Clarin, considerato dai kirchneristi il nemico numero 1 del Paese da quando l’ex Presidente Kirchner presentò una proposta per rilevare e controllare l’entità in modo di avere l’intero controllo dell’informazione nel Paese.
“Sinceramente”, subito battezzato “Sincera-miente”, è in pratica un testo che racchiude gli ideali (se così possono essere chiamati) di una persona che, nonostante i 15 processi in corso e i 5 mandati di arresto preventivo a suo carico perché accusata di essere la leader di un gruppo che ha operato la più gigantesca corruzione che l’Argentina abbia mai visto (stimata in circa 35 miliardi di dollari, un Pil argentino annuale), è ora in testa ai sondaggi delle elezioni alla Presidenza che si terranno il prossimo ottobre. Un fenomeno con connotazioni quasi neurologiche, visto che, seppur nella sua inettitudine e totale mancanza di comunicazione, il Governo Macri e il Paese stanno pagando i conti di 13 anni di politiche corrotte operati dai due Governi kirchneristi (quelli di Nestor e Cristina).
Come negli anni del suo potere, il libro contiene dati e situazioni completamente lontane dalla realtà anche storica degli avvenimenti, oltre che la sua visione antidemocratica e fascista del potere, ispirata chiaramente a Maduro, con cui divide anche gli scandali di traffici tra Venezuela e Argentina che hanno riempito le cronache giudiziarie e che sono parte dell’ampio procedimento nei confronti di Cristina.
La cosa più significativa è stata la partecipazione della presidente della Fondazione Il Libro, organizzatrice della Fiera, all’atto chiaramente politico. Maria Teresa Carbano ha anche tenuto un discorso in cui si è rivelata fervente sostenitrice della Kirchner, cosa che ha colpito gran parte dell’opinione pubblica. È ovvio che un’associazione privata può fare dei suoi spazi quello che vuole, ma una Fiera del libro dovrebbe essere un luogo di incontro culturale e di rispetto di ideali anche contrastanti, non un atto politico partitario. Perché, come lo scorso anno, anche nel corso di questa edizione l’inaugurazione è stata funestata da incidenti operati ancora una volta dal kirchnerismo contro l’attuale ministro della Cultura, Pablo Avelluto, che ha tenuto il discorso inaugurale.
Una delle ragioni per la quale l’Argentina, nonostante il suo straordinario potenziale dovuto alle sue ricchezze (altro punto di contatto con il Venezuela), non riesce a decollare risiede nel continuo riferimento al suo passato, quasi che il tempo non trascorra. Ed è chiaro che i turbolenti anni ’70 siano sempre nel mezzo non di analisi obiettive, ma di azioni mediatiche di parte, tese a alterare la vera storia di quella decade, e soprattutto politiche che, diffondendo le false interpretazioni, tendono a minare il futuro di una nazione cercando di far rivivere un’epoca già trascorsa per mero calcolo di potere. Ciò porta a una divisione ideologica del Paese piena di odio e che impedisce quel dialogo essenziale al suo sviluppo.
E ancora una volta la Fiera del libro si è dimostrata un palco in cui queste divisioni hanno preso il sopravvento su quello spirito di libertà culturale e di espressione che dovrebbe essere sempre presente in questo genere di manifestazioni. È stato difatti presentato il libro del tenente colonnello Hector Di Pasquale, intitolato “Cronica de una guerra negada”. L’autore è un militare attualmente in carcere per crimini di lesa umanità commessi negli anni ’70: giova ricordare che lo Stato, dominato in quegli anni da una dittatura militare, prese la decisione di sorvolare le leggi e di operae un vero e proprio massacro nei confronti non solo di gruppi terroristici che avevano fomentato nel corso degli anni una vera e propria guerra civile, ma anche contro oppositori politici, fatto che creò il fenomeno conosciuto come quello dei desaparecidos. Circa 8.400 persone furono le vittime di una violenza perpetrata da due schieramenti fedeli solo al loro ideale comune di eliminazione fisica dell’avversario. Ma mentre il giusto processo alla giunta militare si è concluso con condanne ancora in corso, i terroristi, specie appartenenti al gruppo “Montoneros”, autori anche loro di crimini di lesa umanità, non solo hanno goduto di amnistia, ma vengono considerati da una parte politica populista o di estrema sinistra come degli eroi combattenti. I loro capi, nonostante sia ampiamente dimostrata la loro collusione con il regime militare e il loro tradimento che è costato la vita a tanti giovani, sono considerati come un esempio da seguire, proponibile anche ai giorni nostri.
Ovviamente la presentazione di un libro scritto da un militare è stata l’occasione che ha permesso a settori della società di esprimere la propria condanna e censura all’evento. Con l’ovvia condanna anche degli organizzatori, che si sono inventati la scusa della mancata informazione fatta dagli editori sul contenuto del libro presentato. Strano che invece testi evocatori della “leggendaria” epoca scritti da veri e propri assassini in libertà non abbiano goduto di benché minima critica, a dimostrazione di come la cultura generale, fatto ripetutosi anche alla Fiera del libro di Torino, sia tornata a soffrire di censure ideologiche che pensavamo morte all’inizio del secolo che stiamo vivendo. Censure che puntano all’odio come caratteristica principale di una società che, se non riprenderà la via del dialogo nel rispetto dell’ideale repubblicano potrebbe trovarsi a fare i conti con uno scontro di una violenza che sarà difficile fermare.