In un precedente articolo, nel discutere i risultati delle elezioni in Baviera e Assia, erano emersi alcuni paralleli con processi politici in corso in Italia, pur con tutte le differenze del caso. Vi è un’altra situazione, anch’essa problematica, che unisce Germania e Italia ed è la divisione territoriale: se l’Italia continua a soffrire dell’irrisolta “questione meridionale”, la Germania deve ancora risolvere la sua “questione orientale”.
Anche qui vi sono notevoli differenze, anzitutto temporali, perché il problema del nostro Mezzogiorno risale a un secolo e mezzo fa, con l’unificazione della Penisola, mentre il problema tedesco sorge con la riunificazione, 28 anni fa, della Germania dell’Est con quella dell’Ovest. Nel primo caso si trattava di costruire un’Italia fino ad allora inesistente; nel secondo di riunire ciò che era stato diviso dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale. Vi sono, tuttavia, diversi punti di contatto che può essere interessante approfondire.
Nel 1990, dopo la caduta del Muro e del regime comunista, la Repubblica democratica tedesca, o Germania dell’Est, si riunì alla Repubblica federale tedesca, o Germania dell’Ovest, dando luogo a un unico Stato. Ai dieci Länder occidentali si aggiunsero i sei orientali: Berlino, Brandeburgo, Meclemburgo-Pomerania occidentale, Sassonia, Sassonia-Anhalt e Turingia. La capitale divenne Berlino, riunificata dopo la divisione causata dal Muro, appunto, di Berlino. Il governo federale affrontò da subito il grave problema delle diseguaglianze economiche tra le due Germanie, con un impegno stimato in circa 70-80 miliardi di euro all’anno dalla riunificazione in favore della parte orientale.
Si sono così ridotte considerevolmente le iniziali enormi differenze tra le due economie, anche se i Länder orientali rimangono tuttora distanziati dall’Ovest praticamente in tutti gli indicatori economici. Questa situazione porta a polemiche tra le due parti del Paese, aumentate durante gli ultimi anni, e a Ovest si chiede sempre più che vengano ridotte quelle che vengono ritenute politiche assistenziali. Dalla riunificazione viene applicata ai cittadini tedeschi un’imposta di solidarietà, chiamata “Soli”, con aliquota attualmente al 5,5%, che doveva essere temporanea. Già da un paio d’anni cresce la richiesta della sua soppressione, e pare che decadrà il prossimo anno, ma sembra anche che il suo considerevole gettito, attorno ai 17 miliardi di euro, ultimamente venga impiegato solo in minima parte nell’Est.
Se una parte dei tedeschi occidentali ritiene di aver già fatto abbastanza per la ex Germania comunista, a Est continuano a sentirsi discriminati. Per esempio, c’è chi sostiene che i considerevoli investimenti citati siano in realtà tornati a Ovest, perché tutti gli interventi, come quelli sulle infrastrutture, sono stati fatti da imprese dell’Ovest. Così come l’aumento dei consumi a Est è andato a favore di prodotti dell’altra Germania, attraverso catene commerciali anch’esse dell’Ovest. Una polemica che ricorda da vicino quelle sul ritorno al Nord degli investimenti della Cassa per il Mezzogiorno.
Le differenze, tuttavia, sono ancor più sensibili sotto il profilo culturale e sociale. Quarant’anni di dittatura comunista hanno prodotto una concezione dello Stato e della cosa pubblica molto diversa da quella formatasi nello stesso periodo a Ovest. La Repubblica democratica tedesca, pur arretrata nei confronti della Germania di Bonn, era leader all’interno dei Paesi satelliti; ora, invece, è al traino dei Länder occidentali e ciò crea frustrazione in molti strati della popolazione. In effetti, la loro incidenza sul totale della nazione è piuttosto limitata, anche al di là del minor peso demografico, circa il 20% dell’intera popolazione tedesca. Si fa notare, per esempio, che su sedici componenti del governo, solo due vengono dall’Est, di cui una è la Merkel. Lo stesso livello di insufficiente rappresentanza si riscontra anche nel mondo degli affari, nelle università e nei media.
Questa situazione fa da sfondo ai diversi risultati delle ultime elezioni generali del 2017 nelle “due” Germanie. Le elezioni legislative del 2017 hanno visto, a livello nazionale, il calo di Cdu/Csu (al 33%) e Spd (al 20,5%), la forte ripresa dei liberali del Fdp (al 10,7%) che rientrano in Parlamento, e la tenuta di Die Linke (la Sinistra al 9,2%) e dei Grüne (i Verdi all’8,9%). La vera sorpresa, peraltro, è stata l’entrata al Bundestag di AfD, partito classificato come di estrema destra, diventato il terzo partito con il 12,6% dei voti. I due partiti maggiori hanno perso in totale 95 seggi, mentre AfD ne ha guadagnati 94; ovviamente, il trasferimento di voti non è stato così diretto, ma il dato è significativo.
Diversa la situazione a Est, dove occorre peraltro distinguere Berlino dal resto dei Länder orientali. La capitale ha confermato grosso modo le tendenze nazionali, ma ha portato Die Linke a essere il secondo partito con il 18,8%, dietro alla Cdu al 22,7% e davanti alla Spd calata al 17,9%. Le votazioni negli altri cinque Länder hanno dato alla Cdu percentuali anche maggiori di quelle nazionali, “castigata” Spd, premiata Die Linke ma, soprattutto, AfD, che raccoglie dal 18,6% del Magdeburgo al 27% della Sassonia. Secondo diversi commentatori, quest’ultimo risultato va messo in connessione con i recenti scontri di Chemnitz, ex Karl-Marx-Stadt, terza città della Sassonia.
In conclusione, non è poi così scontato che nell’ex Germania comunista il secondo partito sia l’estrema destra di AfD e che al terzo posto vi siano i “rossi” di Die Linke. Sarebbe il caso, forse, di approfondire alcuni stereotipi che circolano sulla Germania.