PARIGI — Gli ultimi tre weekend parigini sono stati teatro del fenomeno chiamato gilets jaunes. Ma chi sono e cosa rivendicano? A cosa aspira questo movimento nato quasi dal nulla e partito dall’idea di una semplice manifestazione di disappunto pacifico che proponeva di esporre sul proprio cruscotto il gilet catarifrangente che ogni guidatore deve avere in macchina per legge?



Buona parte della questione sta giustamente in questa difficile definizione. Molti commentatori e sostenitori utilizzano l’argomento dell’eterogeneità e dell’organizzazione spontanea di questo movimento per caratterizzarne il valore aggiunto.

Nonostante ciò, vedendo le derive a cui abbiamo assistito a Parigi soprattutto oggi e sabato scorso, non si può non chiedersi con chi abbiamo a che fare.



Ed è qui che che l’ambiguità delle rivendicazioni e dei metodi diventa esplicita. Certo, il prezzo della benzina e del diesel è molto aumentato, e questo è un fatto che non può essere cancellato, anche se le cause dirette e indirette sono spesso omesse, rendendo molto più facile la conclusione “tutta colpa di Macron”.

Certo, Macron è chiaramente implicato in tutta questa situazione ma, pur non simpatizzando per nulla con lui, bisognerebbe sottolineare alcuni aspetti che appaiono cruciali.

L’impressione che si ha vivendo in Francia è che, attraverso un modo di fare politica “elitista”, Macron abbia perso il contatto con la popolazione e che la popolazione si sia convinta che questo élitisme, che riassumerei nel fatto che il governo non dialoga e non si confronta in special modo con la società civile, equivalga a dire “governo dei ricchi”. Ed è contro questa idea che la polemica cresce ed esplode, a prescindere dalla precisa rivendicazione. Così, tutto diventa pretesto per gridare contro il governo ladro, insensibile e lontano che lascia il popolo morire di fame.



E si capisce che la posta in gioco non è il prezzo dei carburanti, ma una unificazione di tutte le lotte di tutti gli insoddisfatti, cavalcata dai diversi estremismi, e appoggiata in ugual maniera dall’estrema sinistra di Mélenchon e dall’estrema destra di Le Pen.

Nonostante ciò, le persone arrestate per violenze sugli Champs Elysées la settimana scorsa non sono veri e propri militanti o black block sperimentati, ma persone comuni tra i 20 e i 40 anni, incensurate. Vedremo nelle prossime ore se qualcosa è cambiato rispetto alla settimana scorsa.

Per esemplificare la contraddizione, una collega di lavoro, fervente ecologista di sinistra, mi diceva che sarebbe andata alla manifestazione dei gilets jaunes contro le politiche a favore dei ricchi di Macron. Eppure l’aumento dei carburanti è in parte giustificato dalle politiche ecologiche di riduzione dell’utilizzo dei veicoli privati più inquinanti allo scopo di diminuire le emissioni.

Se nelle provincie si percepisce ancora la vera natura di questa protesta, che si esprime ad esempio nel bloccare i caselli delle autostrade e rendere gratuiti i pedaggi, come pena del contrappasso per un aumento del costo della vita dei ceti medio-bassi, il problema è la deriva che non può che scaturirne, evidente dalla chiamata alla manifestazione di oggi (ieri, ndr) indetta per chiedere le dimissioni di Macron. Ma se scendessimo in piazza per chiedere ai manifestanti  i motivi che dovrebbero far dimettere il presidente, troveremmo una coerenza di motivazioni o una semplice rabbia verso il potere o lo Stato, che dovrebbe risolvere i problemi di tutti senza penalizzare nessuno? La distruzione che lasciano le ultime manifestazioni mi sembra parlare chiaro.

Martedì scorso, non si sa bene come, dato che i gilets jaunes non sono strutturati come un vero e proprio movimento con degli aderenti chiari e definiti, sono stati votati otto porta-parola per iniziare un dialogo con il governo, che si è reso in parte disponibile ad ascoltare le rivendicazioni. Ma la polemica interna ed esterna è già esplosa, poiché buona parte di quelli che si dicono gilets jaunes non si sentono rappresentati da questi otto porta-parola. Inoltre, il contenuto delle rivendicazioni che sono alla base del dialogo con il governo mostrano bene quanto detto poc’anzi: tra le altre, soppressione del Senato, riduzione di tutte le tasse, creazione di un’assemblea cittadina, riduzione della tassa sul carbone, abbandono del progetto di rinnovazione delle automobili in elettriche, consultazione del popolo attraverso referendum cittadini e nazionali frequenti, aumento dello stipendio minimo e degli aiuti sociali, riduzione del numero, degli stipendi e dei privilegi dei membri del governo… ben al di là del problema del prezzo carburante.

Piccola nota per una maggiore chiarezza: la Francia ha un debito pubblico che assomiglia molto a quello dell’Italia, ma non è detto ad alta voce e la popolazione pretende dallo Stato un benessere sociale e economico che lo Stato non è più in grado di promettere.

Per concludere, viene in mente un paragone molto interessante con l’ottavo libro della Repubblica di Platone, dove si parla delle diverse forme di governo della polis. Platone (attraverso Socrate) sostiene che le diverse costituzioni dipendono dal carattere del popolo che costituisce la polis: razionale, collerico, concupiscente, emotivo.

La democrazia nasce giustamente dalla ribellione al governo dei più ricchi, che lascia il popolo nella povertà e per questo forte della propria rabbia. Nonostante ciò, Platone sottolinea come, all’interno della democrazia stessa, accada qualcosa di molto simile a ciò che ha condotto alla democrazia, ma avendo il risultato opposto. Infatti il popolo, dopo essersi ribellato, per difendersi dall’abuso di libertà e di potere di alcuni, si affida a un leader che possa riportare l’ordine. E così avviene la fine della polis e della democrazia e nasce la tirannide. Strano déjà vu dell’aumento dei populismi in Europa?