Correva l’anno 1992. Lo stesso anno del Trattato di Maastricht, anno indimenticabile, per una molteplicità di aspetti. Nello stesso anno, il filosofo Jean Baudrillard scrisse un pamphlet dal titolo criptico: L’illusione della fine o lo sciopero degli eventi. Una piccola casa editrice milanese, Anabasi, si incaricò di tradurre e pubblicare il libercolo nel nostro Paese.
L’incipit del testo ha venature profetiche: “Al di là di questo effetto gravitazionale che mantiene i corpi in orbita. Tutti gli atomi di senso si perdono nello spazio. Ogni atomo prosegue nella propria traiettoria all’infinito e si perde nello spazio. E’ esattamente ciò che avviene nelle nostre società attuali, che si adoperano ad accelerare tutti i corpi, tutti i messaggi, tutti i processi in tutti i sensi e che, con i media moderni, hanno creato per ogni evento, racconto, immagine, una simulazione di traiettoria all’infinito. Ogni fatto, politico, storico, culturale, è dotato di un’energia cinetica che lo strappa al proprio spazio e lo proietta in un iperspazio in cui perde tutto il suo senso, poiché non tornerà mai indietro. Inutile ricorrere alla fantascienza, abbiamo già da subito, qui e ora, con la nostra informatica, i nostri circuiti e le nostre reti, con quell’acceleratore di particelle che ha definitivamente spezzato l’orbita referenziale delle cose”.
Baudrillard incalza, riferendosi alla storia: è impossibile “raccontarla”. Infatti, “ogni evento, attraverso l’impulso di diffusione e di circolazione totale, è liberato per proprio conto – ogni fatto diviene atomistico, nucleare, e prosegue nella sua traiettoria nel vuoto”. Anche “la teoria” è impotente: essa “passa nell’iperspazio della simulazione”. Ciò comporta la perdita di ogni “obiettività”, mentre si accresce esponenzialmente “la propria affinità reale con il sistema attuale”.
Un’analisi così acuta e visionaria si lega strutturalmente al crollo del Muro di Berlino. Crollato il simbolo del comunismo, ufficialmente nel novembre 1991, il mondo si è ritrovato in quell’iperspazio descritto da Baudrillard. Non un semplice vuoto, ma un’altra configurazione della realtà, capace di strappare gli eventi dal circuito umano e sociale: “Lo sciopero degli eventi”. Non esistono più accadimenti fondamentali, “storici”, nel senso che anche la modernità aveva esaltato. Esistono punti nell’iperspazio e la riconfigurazione di questa nuova geometria ha espansione illimitata.
Se accostiamo a questa visione le analisi di Giulio Tremonti sul “mercatismo” come degenerazione del liberismo e del liberalismo classico, il quadro si fa più articolato e, ad un tempo, più dettagliato. Non si tratta di una sommatoria di antefatti, questo è l’orizzonte dell’iperspazio sociale, economico e politico che, oggi, si rideclina con la crisi dell’Europa.
La vita (e la storia) vanno comprese all’indietro, ma vissute in avanti. E’ il criterio interpretativo che il filosofo Kierkegaard ci fornisce e aiuta non poco a rovistare nel presente come storia, con tutte le variabili del caso. Perché l’Europa è diventata il teatro della polverizzazione della politica? Perché l’Italia è, oggi, l’epicentro di questo fenomeno, dopo essere stata, fino al 2001, il laboratorio della modernità? Perché ogni formula politica, oggi, è la quintessenza di quella “traiettoria nel vuoto” descritta da Baudrillard? Perché il movimento dei “gilet gialli” è, insieme, l’antagonismo delle moltitudini, teorizzato da Toni Negri, Paolo Virno e il gruppo dei vecchi ideologi di Autonomia operaia, e, dall’altro, è pura reattività plebea, priva di un disegno organico? Perché il cosiddetto “sovranismo” non riesce a resuscitare la sovranità della politica?
La modernità, in Europa, ha ridisegnato gli orizzonti e le prospettive di vita dei cittadini facendo leva sul costruttivismo, ossia su un paradigma totalitario, rivestito di “dura lex, sed lex” e commissariamento della politica (le “commissioni”, appunto). E’ la neutralizzazione della politica, fino alla spoliticizzazione integrale delle soggettività e degli attori operanti nella società: Carl Schmitt, su questo punto, è un classico intramontabile.
Il nichilismo, che orienta questo processo, nell’iperspazio vuoto, soffoca le società, a tal punto che gli uomini non riescono più a percepire la loro vita quotidiana come uno sviluppo organico, inserito in una comunità di destino. Di qui la reattività violenta, che attraversa sovranismi posticci, come quello ungherese, e mercatismi bancocentrici, come quello francese di Macron.
L’esito di questo processo è lucidamente percepito da Giovanni Paolo II, nell’enciclica Centesimus annus (1 maggio 1991): “Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo e il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti son convinti di conoscere la verità e aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (n. 46).
Ce n’è per tutti, in questo scenario: il “sovranista” Orbán, con la sua “legge schiavistica” delle 400 ore di straordinari annuali, fa il paio con il nullismo politico di Macron, figlio di quel vuoto dell’iperspazio che non fa prigionieri, per così dire. Il nichilismo dell’iperspazio, nello “sciopero degli eventi”, è il teatro della spoliticizzazione integrale della società, da un lato, e dall’altro delle moltitudini anch’esse spoliticizzate e, tanto più arrabbiate quanto più spoliticizzate.
La tecnologia, in questo mondo, è la soggettività egemonica che dà le carte, comodamente seduta ad un tavolo popolato di fantasmi. Tutti prendono le stesse carte, da Macron ai gilet gialli, la differenza consiste nell’uso delle medesime. La politica arriva sempre dopo vent’anni e, una volta raggiunto il traguardo, trova la società irreversibilmente cambiata.
Non se ne esce, questo è il dato. Lo “sciopero degli eventi” domina sugli scioperi violenti e sulle piazze messe a ferro e fuoco. L’Europa tramonta nell’iperspazio.