Le banche sono di nuovo sotto i riflettori delle autorità di controllo, ma questa volta non si tratta delle banche italiane, bensì di grandi banche del Nord Europa sotto indagine per riciclaggio di capitali di dubbia provenienza.
La Danske Bank, la prima banca danese, è sotto indagine degli inquirenti per il possibile riciclaggio, attraverso la sua filiale in Estonia dal 2007 al 2015, di denaro proveniente da depositanti russi, moldavi e azeri. Da questa filiale sono transitati in quegli anni circa 200 miliardi di euro, in gran parte probabilmente di provenienza illecita, come ora ammette la stessa Danske Bank.
La banca è precipitata in una dura crisi dopo che una testata danese, Berlingske, nel 2017 ha portato alla luce la vicenda: il vertice della banca si è dimesso, le autorità estoni hanno arrestato diversi dipendenti della filiale di Tallin, la fiducia dei correntisti danesi è ai minimi. Come giustamente fa rilevare un articolo di Bloomberg, il caso Danske mette a rischio la nomea della Danimarca come una delle nazioni meno corrotte del mondo. La banca ha subito avviato indagini interne e offerto ampia collaborazione alle autorità investigative: oltre a quelle danesi ed estoni, si sono attivate quelle inglesi, francesi, statunitensi e italiane. Tuttavia, segnalazioni in tal senso c’erano già state in passato e la reazione della banca appare tardiva; forse, la stessa critica potrebbe essere rivolta alle autorità danesi.
I pericoli maggiori, però, vengono dalle indagini avviate dalle autorità di controllo americane, dirette ad accertare le responsabilità delle tre banche corrispondenti della Danske negli Stati Uniti: Bank of America Corp., JPMorgan Chase & Co. e Deutsche Bank. Quest’ultima sembra essere stata il maggior veicolo per il flusso di denaro proveniente dalla filiale estone della Danske Bank. La Deutsche Bank, pur dichiarandosi estranea a possibili reati, sta collaborando con le autorità e ha avviato indagini interne.
Non è la prima volta che la più grande banca tedesca ha problemi negli States ed è stata più volte multata negli ultimi anni: nel 2017 anche per non aver posto in atto adeguate misure protettive contro il riciclaggio. Qualche commentatore ha interpretato questa attenzione da parte delle autorità americane anche in funzione politica, dati i rapporti non eccellenti che intercorrono tra Casa Bianca e Berlino. Una componente geopolitica appare comunque anche in quest’ultima vicenda.
La questione del riciclaggio di soldi sporchi dalla Russia è sostenuta da parecchi anni da Bill Browder, fondatore e capo del fondo di investimenti Hermitage Capital Management. Il fondo ha operato fin dal 1996 in Russia e in buoni rapporti con la dirigenza russa, malgrado le esplicite critiche rivolte da Browder alla corruzione nelle società in cui aveva investito. Secondo quanto riportato dal New Yorker, anche con Putin i rapporti erano eccellenti, almeno fino al 2005, quando fu impedito a Browder il rientro in Russia, divenendo un ricercato per violazione delle leggi russe, in particolare in materia fiscale. Per difendersi dalle accuse, Browder assunse Sergei Magnitsky, noto avvocato specialista del settore. Magnitsky venne arrestato alla fine del 2008 e morì in prigione in attesa di giudizio dopo undici mesi, sembra perché gli vennero rifiutate le cure di cui necessitava.
Dopo questi fatti, nel 2012 il Congresso approvò una legge, appunto il Magnitsky Act, con la quale veniva vietato l’ingresso negli Stati Uniti a chi fosse ritenuto responsabile nella sua morte, stabilendo anche il sequestro dei beni posseduti nel Paese. Dal 2016, il governo americano può applicare la legge a tutti coloro che ritiene colpevoli di violazioni dei diritti umani. Per Browder si tratta di un successo nella sua decennale lotta contro la corruzione e in difesa della memoria di Magnitsky; per gli Usa, di un nuovo capitolo nel confronto con Mosca.
Se, come sembra, una parte non indifferente del denaro probabilmente riciclato viene dalla Russia, sorprende che siano coinvolte le maggiori banche di due Stati normalmente critici nei confronti della Russia di Putin. Verrebbe da pensare che la politica è la politica, ma business is business: vedasi il Nord Stream 2, che raddoppierà l’entrata di gas russo in Europa attraverso la Germania, nonostante le critiche in sede UE e le reprimende di Trump.
La Deutsche Bank, peraltro, si difende dicendo che, come intermediario, le era molto difficile verificare le origini del flusso di denaro, compito che toccava alla Danske Bank. Tuttavia, da due grandi banche dell’Europa “virtuosa” ci si poteva aspettare maggiore attenzione: forse per questo le autorità di controllo europeo non hanno reagito con la rapidità di azione dimostrata per altre aree europee. Significativo che la Commissione Europea abbia dovuto inviare, alla fine dello scorso settembre, una lettera all’EBA, l’autorità bancaria dell’UE, invitandola a utilizzare i suoi poteri per fare luce sul caso Danske Bank. Meglio tardi che mai.