Di fronte agli ultimi avvenimenti, a Donald Trump è forse venuto in mente un detto italiano: “dagli amici mi guardi Iddio, ché dai nemici mi guardo io”. L’Arabia Saudita è da tempo un ferreo alleato degli Stati Uniti, ma Barack Obama aveva cercato di riequilibrare la situazione mediorientale stringendo con l’Iran l’accordo sul nucleare. Trump non solo ha revocato l’accordo, schierandosi totalmente con Riyadh contro Teheran, ma ha stretto amichevoli rapporti personali direttamente con l’uomo forte saudita, il principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS). Un rapporto che sembra non essersi incrinato neppure di fronte allo scandalo internazionale per l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul.



Trump si è così distinto da molti altri politici e governi occidentali, che hanno invece chiesto, anche in modi netti, indagini più approfondite sull’accaduto. E’ stata questa, per esempio, la richiesta del premier inglese Theresa May durante il recente incontro del G20, dove, secondo il quotidiano turco Hürriyet, il presidente francese Macron sarebbe stato sentito dire a MbS: “ Te lo avevo detto, ma tu non mi ascolti mai”. Una frase che risulta verosimile, visto l’impegno di Macron a risolvere un altro “incidente” attribuito a MbS, cioè il sequestro del premier libanese Hariri nello scorso novembre.



Inevitabili le conseguenze sulla politica interna degli Stati Uniti, tanto più che la stessa Cia avrebbe indicato in MbS il mandante ultimo dell’omicidio, come riportato dal Wall Street Journal. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha negato che dai rapporti di intelligence risultino prove dirette di un coinvolgimento del principe. Ha poi tenuto, insieme al segretario alla Difesa James Mattis, una riunione a porte chiuse con i senatori, cui non ha partecipato la Cia. La cosa ha provocato forti critiche bipartisan di molti senatori, con il risultato di una nuova riunione ristretta con Gina Haspel, capo dell’Agenzia.



Una sequenza che denota parecchio nervosismo nel Congresso, anche in campo Repubblicano. Il senatore Lindsey Graham, Repubblicano della Carolina del Sud e stretto alleato di Trump, ha dichiarato che dalla riunione sono emersi elementi che portano a dirette responsabilità di MbS. Il senatore ha aggiunto che, malgrado le accuse al principe, l’Arabia Saudita rimane un alleato strategico; tuttavia, ha sottolineato, non ad ogni costo. Una posizione questa condivisa da un manipolo di altri parlamentari Repubblicani e da molti Democratici.

La vicenda Khashoggi ha ridato vigore alle critiche sollevate da parlamentari Democratici e Repubblicani sulla partecipazione statunitense alla tragica guerra nello Yemen. Giovedì il Senato ha approvato una mozione bipartisan che chiede il ritiro del sostegno degli Stati Uniti alla coalizione guidata da Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. La risoluzione è stata votata dai Democratici e da sette senatori Repubblicani e dovrà ora passare alla Camera dei rappresentanti. Qui la maggioranza Repubblicana ha già bloccato la possibilità di giungere alla votazione, ma a gennaio, a seguito delle votazioni parziali di novembre, la maggioranza passerà ai Democratici, con la probabile approvazione della risoluzione.

Forse una coincidenza, ma nello stesso giorno è stato raggiunto a Stoccolma, con la mediazione dell’Onu, un accordo tra il governo yemenita e i ribelli Houthi per lo sblocco del porto di Hodeida. Le forze lealiste avevano bloccato la città, il maggiore porto dello Yemen, che era stata conquistata dai ribelli. Il blocco ha impedito finora l’arrivo anche degli aiuti umanitari, aggravando così quella che l’Onu ha definito la peggiore catastrofe umanitaria degli ultimi decenni.

Il Senato ha anche approvato una mozione, presentata da un senatore Repubblicano, in cui si afferma la responsabilità diretta di MbS nell’assassinio di Khashoggi, assestando così un secondo duro colpo a Trump.

La fallimentare politica statunitense in Medio oriente non è di certo iniziata con Trump, ma l’attuale presidente l’ha non solo continuata, ma per molti versi peggiorata. La sua decisione di legarsi strettamente a MbS e al premier israeliano Benjamin Netanyahu si sta rivelando pericolosa: entrambi i personaggi sono in difficoltà e cambiamenti nel governo dei due Paesi sono tutt’altro che improbabili, con conseguenze imprevedibili su tutta la regione. Comunque, anche senza cambiamenti, questi due alleati stanno diventando quanto meno scomodi.

Non sono questi gli unici problemi per Trump. Gli Usa hanno un’importante base militare nel Qatar e si trovano al centro di una pesante controversia tra Doha e Riyadh, in cui è per loro difficile schierarsi. Il Qatar ha buoni rapporti con i Fratelli musulmani e ospita Al Jazeera, “bestia nera” dei sauditi e del regime militare egiziano, che si è infatti subito schierato con l’Arabia Saudita e gli Stati del Golfo. Lo scontro ha messo in gravi difficoltà il Consiglio di Cooperazione del Golfo, l’organismo di cui fanno parte sia l’Arabia Saudita che il Qatar, e in cui vi sono tensione anche tra sauditi e Kuwait per questioni petrolifere.

A proposito di petrolio, si è aperta una crisi anche nell’Opec, dopo la decisione del Qatar di abbandonare il cartello, dove i sauditi sono socio di maggioranza. Il Qatar non è un grande produttore di petrolio, ma è il maggiore esportatore di gas naturale liquefatto e, secondo dichiarazioni ufficiali, vuole concentrare i suoi sforzi sul gas. In termini politici, significa avere mani libere da un’Opec dominata dai sauditi e continuare la politica di vicinanza con l’Iran e il comune sfruttamento di ingenti giacimenti di idrocarburi. E con la Turchia di Erdogan, anch’egli amico dei Fratelli musulmani, che in questo momento è la più interessata a mettere in difficoltà l’intero regime saudita, diventando così leader del mondo sunnita mediorientale.